domenica 31 agosto 2014

É la svolta? Se Obama...... (di Claudio Moffa)



É la svolta? Se Obama si allea con la Siria, la strategia del caos di Israele - che è dietro Isis e curdi, e che continua le sue provocazioni contro l’Iran - potrebbe finalmente entrare in crisi
 
di Claudio Moffa

Un deja-vu inquietante: Israele dietro i Curdi e l’Isis, in guerra tra loro. I precedenti ci sono: in una delle tante guerre civili africane, Congo Brazzaville anni 90, gli israeliani si trovarono a sostenere entrambe i fronti, tanto che dopo la protesta delle madri dei ragazzi in guerra gli uni contro gli altri, la stampa denunciò lo scandalo.
Anche la strategia della tensione italiana ha visto il Mossad usare a piacere destra e sinistra, purché fosse caos: a Piazza Fontana 1969, l’ombra di Ordine Nuovo, fascistissima organizzazione legata ai servizi israeliani; alla Questura di Milano 1973, l’ anarchico Bertoli, fresco fresco di un viaggetto in un kibbutz israeliano, fatto che venne probabilmente scoperto dal commissario Calabresi, poi “sfortunatamente” assassinato; e nel caso Moro - dopo l’arresto di Franceschini e Curcio, che contattati dai servizi israeliani li avevano mandati a quel paese - ecco spuntare il “compagno Moretti”, quello della stella a sei punte del sequestro Mincuzzi e di tante altre cose puntigliosamente vagliate dalla Commissione stragi di Giovanni Pellegrino.
Anche così venne ucciso Moro, il filoarabo odiato da Kissinger e dai banchieri della FED per i suoi pericolosi biglietti di stato a corso legale.

Ma precedenti di cosa, e perché precedenti? Perché quello che sta accadendo in Ucraina – una crisi iniziata con il colpo di stato di Kiev, rivendicato durante la mattanza di Gaza da George Soros, e che ha paralizzato Putin – e in Medio Oriente – le bombe sull’Isis e le armi ai curdi, entrambi sostenuti da Israele – ripete i vecchi scenari appena accennati: da una parte la convergenza tra il sionismo a-territoriale della grande finanza transnazionale “cosmopolita”, e il sionismo territoriale dello Stato d’Israele; dall’altra una guerra civil-religiosa in Iraq alimentata, alle spalle di due dei tre contendenti (Isis e Curdi, conflittuali tra loro e col governo di Bagdad), da una stessa mano, Israele: l’indipendenza curda è stata rivendicata apertamente da Netanyahu il 29 giugno scorso; e l’ISIS, fondato ufficialmente nelle stesse ore, è ormai chiaramente una vera e propria pedina dello Stato ebraico, come denunciato da Teheran (“Al Baghdadi è in realtà un ebreo, agente del Mossad”), e come confermato più o meno direttamente da Snowden e da Hillary Clinton, che nel partito democratico e nell’Amministrazione Obama ha sempre rappresentato l’ala più sensibile a Tel Aviv. L’eventuale presenza all’interno del ‘califfato’ di residui della resistenza baathista all’invasione angloamericana, non conta, evoca al massimo quel fenomeno tipico che colpisce i vinti dalla Storia e che alla Storia cercano di reagire finendo dall’altra parte. Il linguaggio dell’ISIS, sigla franchising o no, non ha nulla di quello del Partito Baath iracheno: è invece lo stesso linguaggio truculento di Al Qaeda, altra organizzazione creata durante la guerra sovietica in Afghanistan con il concorso di Cia e Mossad. Un odio stragista contro tutto il mondo occidentale, i cui obbiettivi prediletti, più che gli eserciti occupanti territori invasi in nome di ‘missioni di pace’, sono civili innocenti. Come a New York, a Madrid, a Londra.

Un dejavu positivo
Inquietante deja-vu, dunque, il triangolo Israele-Curdi-Isis. Ma qual è stata la reazione di Obama? L’intervento in Iraq sul caso degli Yazidi, è potuto sembrare un ritorno al passato, nonostante le dichiarazione del suo carattere mirato e circoscritto alle armate di Al Baghdadi. Ma l’annuncio di un possibile prolungamento dell’assalto all’Isis in territorio siriano è una svolta nel senso opposto, coerente e non contraddittoria con il no di Obama all’intervento in Siria nell’estate dello scorso anno. Un po’ ripetendo il tentativo di Bush all’indomani dell’11 settembre di dar vita a una ‘grande alleanza contro il terrorismo’ (un’alleanza inclusiva anche della Siria e del Sudan), Obama infatti adesso interverrebbe non contro il regime di Damasco, come preteso da Kerry nell’estate 2013, ma contro i terroristi anticristiani che assediano Assad, il quale non a caso si è dichiarato disponibile a un coordinamento con Washington per le operazioni militari.

Una opzione in fieri quella del presidente americano, che rischia però di fallire come quella del suo precedessore. Gli ostacoli infatti sono molti, nell’immediato e in prospettiva, negli Stati Uniti e fuori: all’interno la Israel Lobby nel Congresso, al quale il Presidente americano ha chiesto di poter procedere per un intervento in Siria, lavorerà probabilmente al sabotaggio, anche se la lettera sul New York Times di 300 “sopravvissuti all’Olocausto” che condannano duramente le stragi di palestinesi, è un segnale che potrebbe convincere una parte dei lobbisti a approvare la proposta di Obama. Ma anche se andasse in porto la proposta del Capo della Casa Bianca, gli ostacoli non cesseranno, come già accaduto in Libia: dalla guerra del 2011 il presidente USA si defilò presto, non partecipando già ai primi di aprile ai raid della Nato voluti da Sarkozy, tanto che Gheddafi gli scrisse una lettera elogiando “il ritiro degli USA dalla cociata colonialista contro la Libia” (fonte Affaritaliani.it, 6 aprile). Ma fu un drone americano a individuare Gheddafi in fuga e a dare la stura al linciaggio del leader libico da parte dei Misuratini – una città forte di una orgogliosa comunità ebraica, come ricordò in quei giorni la Stampa – il che significava che la coraggiosa ritirata di Obama era stata osteggiata dentro il Pentagono e forse il Dipartimento di Stato, tra le maglie di un imprecisato ‘supporto logistico” da mantenere attivo. Non si capirà mai nulla della politica estera americana, se si parte da una lettura monolitica dell’establishment USA, diretto da un Presidente onnipotente: non è così, non è mai stato così, almeno fin dai tempi di Kennedy.

Ma gli ostacoli vengono anche dall’Europa, i cui leaders - sotto il ricatto di una costante pressione economica e finanziaria che, anche se solo casualmente coincidente, risulta nei fatti parte integrante del progetto bellicista - o tacciono o si muovono su obbiettivi fumosi e distorti che non colgono la gravità della situazione e in particolare la forte presenza israeliana nell’ attuale crisi irachena. Renzi ha deciso di dare armi anche ai curdi, e Cameron ha operativamente imboccato la stessa strada, inviando secondo quanto ha scritto il Daily-Mail on Sunday una “notevole forza” (Sas e SRR) in Iraq e Siria per “catturare estremisti” (operazione che rischia di essere solo mediatica simbolica, perché la cattura di singoli terroristi risolve ben poco) raggiungendo in particolare in Iraq “unità irachene e curde” per sostenerne la resistenza alle armate di Al Baghdadi. Anche in Siria Cameron appoggerà i Curdi, in lotta contro Assad? E’ questa una opzione che aiuta la strategia della pace?

La complessità della questione Curdistan: la secessione non è l’unico modo di garantire i diritti identitari dei peshmerga. In realtà le armi ai curdi rappresentano da una parte una rottura storica – Cia e Mossad hanno fin dagli anni 60 sostenuto i curdi, ma la consegna delle armi seguiva le modalità semiclandestine della guerra fredda (a ciascun blocco la sua guerriglia) e non costituivano un riconoscimento formale del secessionismo - e nello stesso tempo un grave attacco non solo al governo di Bagdad, ma anche alla Siria, già sconvolta da attacchi terroristici manovrati dall’oltranzismo occidentale, e all’Iran e alla Turchia, paesi il primo infiltrato oggi da un drone israeliano abbattuto dalla contraerea iraniana, e la seconda sede, anche prima della vittoria di Erdogan, di un interessante processo di pacificazione tra curdi e governo centrale. Tutte situazioni, adesso, pronte ad esplodere se non si ha chiarezza sul punto focale: che bisogna trattare con, ma anche difendere gli Stati della regione dai processi di destabilizzazione interni (una destabilizzazione armata e disgregatrice, altra cosa dal sacrosanto diritto di manifestare la propria opinione) e non inseguire sul loro terreno le trame del burrattinai del ‘terrorismo islamico’. Di questa coscienza solo la Casa Bianca sembra aver dato sin qui un mero segnale positivo.

In Europa invece ci si muove diversamente: si pretende, in questo caso alla stessa stregua di Washington, che i russi dell’Ucraina orientale non abbiano il diritto di ribellarsi al golpista Poroshenko, e di riannettersi a uno Stato russo esistente da un quarto di secolo – senza contare peraltro il passato sovietico e zarista – ma che nello stesso tempo tale diritto secessionista debba per forza di cose essere applicato a una complessa regione geopolitica che coinvolge ormai cinque Stati – non solo i quattro comprensivi di minoranze curde, ma ormai anche Israele – operando a vantaggio solo di quest’ultimo, peraltro protetto nello specifico scacchiere palestinese dal silenzio e dall’inazione giuridica e politica dell’ONU e della diplomazia euroamericana.

Questa via rischia di provocare altre scintille nella direzione della guerra mondiale: esistono molti modi di risolvere i diritti identitari delle minoranze nei paesi multietnici, altri che quella retorica delle minoranze che i paesi europei sconvolti dall’immigrazione selvaggia conoscono bene, e che l’Italia ad esempio ha sempre conosciuto (ma risolvendo il problema in modo positivo) nelle regioni di confine settentrionali. Il discorso sarebbe lungo,rimanderei a chi interessa a un mio vecchio saggio su Limes (“Popoli senza stato e ideologi senza cervello”) e ad altri miei scritti sulla “questione nazionale” e la sua proiezione giuridica, il “diritto di autodecisione dei popli”.

Resta il fatto che la soluzione alla crisi irachena non può consistere nel gettare altro fuoco alla benzina dell’Isis, sostenendone i ‘cugini geopolitici”, i peshmerga. L’opzione solo annunciata di Obama – fatte salve tutte le citate incognite della sua concreta applicazione – è quella corretta, e per una volta non sarebbe male che l’Europa seguisse l’alleato d’oltreatlantico, cambiando direzione almeno nello scacchiere siriano.

Ma in caso di dissenso tra Washington e Tel Aviv, l’Europa troverà il coraggio di scegliere? O preferirà non pronunciarsi e magari seguire la tendenza peggiore? Se si parte dagli interessi geopolitici dell’Europa e dell’Italia in particolare – anche senza riandare alla memoria storica di due grandi, De Gaulle e Mattei – e inoltre, dalla coscienza di sé non come suddito altrui, ma come Stato o unione di Stati autonomi e sovrani, la risposta è facile. Ma qui torniamo al punto di partenza: il nodo israelo-palestinese, la questione cioè di un piccolo Stato protetto dalla grande finanza mondiale, che fomenta zizzania tra i Popoli e tra gli Stati, e si mostra capace di tenere al suo guinzaglio le grandi potenze occidentali, fino al punto che diventa un tabù per politici e giornalisti del ‘mondo libero’, il mero racconto dei fatti : il fatto che Israele è dietro Curdi e Isis; il fatto che il golpe ucraino è targato George Soros e ha favorito, inchiodando la Russia, la strage di ormai più 2000 palestinesi, il fatto che la svolta di cui parlano oggi alcune testate, non è affatto della Siria – demonizzata e infangata da una campagna mediatica e diplomatica infame, mentre combatte eroicamente in difesa anche dei cristiani contro il terrorismo sedicente islamico ma che islamico non è – ma di Obama. Il fatto, in conclusione, che è Israele che spinge alla III guerra mondiale e non, questa volta almeno, gli Stati Uniti, secondo un facile clichetantiamericanista, alibi diffuso non solo sui grandi media ma anche in rete, per non rischiare gli anatemi dell'antisemitismo e dell'ostracismo professionale.


                                                                                                                    

sabato 30 agosto 2014

EQUITALIA E I SUOI ORRORI (avvocato Edoardo Longo)

EQUITALIA E I SUOI ORRORI

Questa antologia vuole presentare al lettore alcuni aspetti poco noti e poco rassicuranti di Equitalia, il braccio armato della Statotagliagole che affligge il popolo italiano.
Gli Autori degli scritti sono l’ avvocato Edoardo Longo [2] , Anonimo Pontino – uno studioso di dinamiche finanziarie , di formazione auritiana, molto noto ai nostri Lettori per aver pubblicato alcuni interessanti studi[3] in materia di strozzinaggio bancario e finanziario , nonché un giovanissimo e brillante commentatore politico, che ha preferito celarsi sotto lo pseudonimo di Von Leers, per ragioni di precauzione : già sotto il mirino di una delle più ottuse e liberticide procure d’ Italia con accuse viete e strumentali di antisemitismo  per aver denunciato sul web con scritti seguitissimi e al calor bianco  le cricche finanziarie internazionali , ha ritenuto di bypassare così le feroci attenzione dei cani da guardia in toga al soldo della tirannica lobby ebraica presente in Italia e non estranea neppure alla gestione ed amministrazione della equiitalica agenzia di vampiraggio nazionale…..
Gli scritti di von Leers sono stati anche  rimodulati  anche dalla penna dell’ avvocato Longo, curatore del blog Dissonanze e di questa antologia , per verificare che non vi fossero in ogni caso appigli per i liberticidi gendarmi al soldo della lobby di quelli del pianto che paga….
Uno scrittore molto promettente ed arguto, il nostro von Leers, a cui auguriamo di cuore di uscire indenne dal coltello di Shylock e di conservare sempre la sua verve, il suo coraggio , la sua indipendenza di pensiero : in Italia c’è gran bisogno di giovani intellettualmente forti come lui.
“ Equitalia e i suoi orrori “ : Una antologia di scritti sui sistemi pirateschi di Equitalia e i legami lobbistici di taluni suoi alti dirigenti, che contano altissime connivenze con i poteri forti.
Una documentazione unica e retroscena svelati per la prima volta, compresi alcuni gravissimi casi giudiziari di strozzinaggio perpetrati dall' esattore di stato.
Curatore dell’ antologia l’ avvocato Edoardo Longo, fra gli altri studi qui editi,   ha illustrato in questo volume  anche un emblematico caso di strozzinaggio perpetrato da Equitalia e finito avanti al tribunale di Trieste e che ha suscitato notevole interesse politico e mediatico.
Un volume da leggere assolutamente.
Link ufficiale del volume :
EDIZIONI DELLA LANTERNA
                                                                                                  

mercoledì 27 agosto 2014

Uomo e Donna: la guerra deve finire

Uomo e Donna: la guerra deve finire

manonellamano
di V.J.Wolf
Il rapporto tra uomo e donna nel corso dei secoli è cambiato sotto tutti i punti di vista. L’umanità ha dimenticato la complementarietà dei sessi facendo partire un processo di dissoluzione della “normalità” che ha portato i due sessi a combattersi. C’è una vera e proprio guerra su scala mondiale tra opposte fazioni per determinare chi tra “lui” e “lei” sia migliore dell’altro. Questa contesa si gioca su tutti i fronti, lavoro, sport, politica, scuola, si è talmente impegnati a decretare il vincitore che ci si è dimenticati di come una volta questo problema non esisteva, poiché la complementarietà delle opposte nature faceva funzionare tutto in maniera corretta senza creare sciocche contese che non hanno ne capo ne coda. La natura ci insegna come per raggiungere l’equilibrio ci sia bisogno “dell’altra parte”. Il sole e la luna, i semi e la terra, l’uomo e la donna, la naturale completezza che permette al mondo di continuare e di conservare la sua origine tanto divina quanto NORMALE. L’uomo cerca il riscatto provando a dimostrare la sua superiorità nel lavoro e in altri settori considerati “tipicamente maschili” come i campi di battaglia e i lavori più faticosi. Dimenticando forse chi, fin dall’antichità provvedeva a tenere in piedi la famiglia e il lavoro quando gli uomini erano chiamati alle armi. A proposito di armi, l’uomo che di questo settore ne fa un vanto ancora una volta dimentica esempi eroici come furono le “Ausiliarie” durante l’epoca fascista. Con questo non si vuole convincere nessuno che la donna quindi sia adatta a svolgere meglio dell’uomo ruoli come quello del soldato, ma è giusto per chiarire che uomo e donna all’occorrenza possono svolgere compiti e ruoli che tendenzialmente e per naturale predisposizione sono più adatti al sesso opposto. Come ad esempio tutti quegli uomini che si sono trovati a causa di un destino crudele a dover crescere i figli senza l’appoggio della propria compagna, venuta a mancare per un qualsiasi motivo. Qui non si vuole puntualizzare su quali compiti e lavori possano svolgere gli uni o gli altri, ma chiarire a quanti leggeranno queste righe, che la base del rapporto tra uomo e donna sta nell’equilibrio, nella complementarietà. Oggi troppo spesso a causa di questa “cultura” dell’emancipazione la donna è sempre più alla ricerca di una sua “indipendenza” e dimentica quanta importanza ha invece il ruolo che ha sempre avuto la figura femminile nella famiglia. Certo è che oggi nella maggior parte dei casi, è indispensabile che in una famiglia a lavorare siano sia l’uomo che la donna, ma l’esortazione che oggi vogliamo fare è quella di riflettere se l’indispensabilità di lavorare per entrambi sia reale o dettata da sciocchi ragionamenti del tipo “Così se voglio comprare il rossetto nuovo non devo chiedere niente a nessuno”. Crediamo fermamente che sia più importante crescere personalmente i propri figli piuttosto che comprare un “rossetto nuovo” e quindi far crescere i figli da una badante che nel migliore dei casi parla a mala pena l’italiano. L’uomo e la donna da sempre hanno vissuto in armonia, riempiendo uno lo spazio che l’altro lasciava vuoto. Lei il bastone della vecchiaia di lui e viceversa. E’ anche vero che oggi a proposito di riempire gli spazi, la qualità dell’uomo è decaduta, e quindi di conseguenza come “un liquido” la donna riempi il vuoto lasciato da un materiale umano sempre più dequalificato. Naturalmente l’umanità tutta è decaduta, ma quello che risalta è lo scivolone che l’uomo ha preso e dopo il quale non è più riuscito a rialzarsi. Per questo è fondamentale, laddove ci si volesse svegliare da questo sonno che ormai da anni ci vede assopiti, iniziare a lavorare su se stessi per cercare di risalire da questo stato in cui ci troviamo. Da subumani quali siamo allo stato di Uomo, ritrovare la normalità. Per ritrovare la normalità possiamo iniziare anche dal rapporto tra uomo e donna e quindi provare a vivere con equilibrio le nostre storie, senza cercare di sottomettere la nostra compagna per paura che questa possa prendere le redini della relazione e senza farci assorbire completamente dalla relazione stessa e quindi diventare burattini nella mani di una burattinaia che ci sfrutterà per i suoi spettacolini in piazza, fino a rimpiazzarci con una marionetta più nuova e alla moda. Nessuna soluzione troverete in queste parole ma forse, ed è quello che ci auguriamo, sani spunti di riflessione.
                                                                                                                                    
                  

martedì 26 agosto 2014

STUDIO LEGALE LONGO : OPERATIVO DA 30 ANNI NELLE VENEZIE

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico.

STUDIO LEGALE LONGO : OPERATIVO DA 30 ANNI NELLE VENEZIE

STUDIO LEGALE LONGO.



L' avvocato Edoardo Longo è iscritto all' albo degli avvocati dal 1990, dopo essere stato patrocinatore legale dal 1984. Dal 2003 è iscritto anche all' albo speciale degli avvocati cassazionisti, abilitati cioè al patrocinio avanti alla Suprema Corte di Cassazione e alle altre magistrature superiori. Esercita prevalentemente in materia penale. E' stato anche Vice Pretore Onorario di Pordenone dal 1986 al 1991. Ha Studio in Pordenone, al viale della Libertà, 27. E’ arbitro in materia civile iscritto presso gli albi delle camere di commercio di Pordenone, Udine, Treviso, Belluno, Gorizia.  Lo Studio Legale Longo è operativo da quasi 30 anni e si può definire come uno degli studi legali “storici “ della città di Pordenone e di questa area geografica fra Veneto e Friuli.  Questo è il sito ufficiale dello Studio Legale Longo: il precedente sito aveva totalizzato circa 4.500 visite. Questo sito ha appena raggiunto le 10.000 visite.  L’ indirizzo del sito , che segnala il curriculum dell’ avvocato Edoardo Longo, oltre alla ricca bibliografia giuridica del titolare ( anche con testi di malagiustizia da scaricare liberamente  dal sito ) , una ampia rassegna stampa dello Studio e i dati dello stesso, è il seguente :
                                                                                                     

domenica 24 agosto 2014

DENUNCIATA LA COMUNITA' EBRAICA IN ITALIA PER I RITI DI ODIO E DI MALEDIZIONE

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. AVV. E. LONGO

DENUNCIATA LA COMUNITA' EBRAICA IN ITALIA PER I RITI DI ODIO E DI MALEDIZIONE

COMUNICATO STAMPA DELLA DIFESA DEL DOTT . ALFRED OLSEN TITOLARE DEL SITO " HOLY WAR" - 13.06.2013.
E’ noto un quadro di sistematica aggressione ai diritti  democratici elementari di libertà di critica e di espressione portata avanti in questi mesi nella colonia – Italia da parte della lobby ebraica, fattasi ancora più aggressiva a seguito di saldatura con alcuni spezzoni  liberticidi della già scadente magistratura italiana.
Fra questi casi di aggressione giudiziaria a mano armata nei confronti di realtà politico – culturali critiche verso il sionismo internazionale, vi è il caso Holy war avanti alla procura della repubblica di Bolzano.
Un pubblico ministero di questa città , su pressione della lobby ebraica e su input della stessa comunità ebraica romana , ha disposto l’ oscuramento sul territorio della repubblica italiana del sito Holy war  (  http://holywar.org/    ) .
 Il fatto, di per sé, è indice di scarsissimo rispetto dei diritti di libertà di pensiero garantiti dalla Costituzione Italiana ( art. 21 ) e dagli organismi internazionali dei diritti dell’ Uomo, è ha un precedente analogo solo presso la repubblica cinese comunista e in qualche altra satrapia medio- orientale.
Nei giorni scorsi il dott. . Alfred Olsen, titolare del sito, attraverso il suo legale ( l’ avvocato Edoardo Longo ) ha depositato un articolato atto di querela nei confronti della comunità giudaica romana e di alcune testate internet ebraiche, particolarmente aggressive e diffamatorie nella loro “ crociata sionista” contro la libertà di pensiero.
La querela ricorda come ogni giorno presso le sinagoghe giudaiche della colonia – Italia vengono recitate dai “ pii giudei” delle autentiche maledizioni nei confronti dei non ebrei, con l’ invocazione rituale al loro sterminio. Trattasi di crimini gravissimi di incitazione all’ odio che si chiede che la magistratura provveda a  reprimere giudizialmente e a impedire.
Nella medesima querela si ricorda anche che la comunità ebraica in Italia – in particolare quella romana – è di fatto un nido di spie al servizio di una potenza nucleare straniera ( Lo stato di Israele ) e le sue battaglie pseudo – moralistiche altro non sono che  atti di ingerenza dello stato di Israele in Italia, volti alla attuazione da noi degli interessi politici di questa potenza straniera e come atti di ingerenza straniera dovrebbero essere repressi e inibiti. Desta anche sconcerto e preoccupazione che settori della magistratura italiana si prestino alla operazioni di intelligence di una potenza straniera in Italia,  in collisione con l’ interesse della repubblica italiana alla applicazione della propria carta costituzionale democratica che di fatto viene disapplicata.

sabato 23 agosto 2014

Conoscere il Corano per non morire di Islam



Conoscere il Corano
per non morire di Islam
di Ida Magli
Il Giornale | 21.08.2014

  Le reazioni dei nostri governanti, dei politici, perfino degli ecclesiastici, di fronte alla ossessionante presenza dei musulmani e delle loro gesta sul palcoscenico del mondo, sono veramente sorprendenti.  Tutti i giorni ormai da diversi anni l’Europa discute per un motivo o per l’altro di ciò che accade in Africa o in Medio Oriente, convoca i propri ministri degli Esteri e le Commissioni parlamentari apposite, ma non una sola volta (almeno a quanto ne riferiscono i giornali ) è stata concentrata l’attenzione su ciò cui credono i musulmani, sul loro libro sacro: il Corano. In Italia poi, dove se non altro a causa dell’invasione di islamici dovuta all’immigrazione, il problema è ormai diventato angoscioso e nessuno sa più come affrontarlo, i nostri leader appaiono e si comportano come degli analfabeti tanto da aver concordemente assegnato un unico nome alle migliaia di persone che sbarcano sulle nostre coste: i disperati. Non c’è definizione più sbagliata di questa: se lasciano la propria terra e si affidano a barconi sgangherati a rischio della vita è perché non sono affatto disperati ma al contrario sono sicuri che Allah li ricompenserà, perché è scritto nel Corano che il destino migliore spetta a chi emigra portando la fede in Maometto presso altri popoli, o a chi muore a questo scopo. La verità è che noi siamo come siamo sempre stati: sicuri che gli altri ci somiglino o che debbano assomigliarci. Siccome non siamo più credenti, o al massimo superficialmente credenti, pensiamo che anche la religiosità altrui sia più o meno altrettanto superficiale. In Europa, in Italia è difficile pensare che esista oggi qualcuno così credente da dare la vita per difendere il cristianesimo.  Il Papa infatti se n’è andato in Corea ad esaltare il martirio, anche se è evidente che dovrebbe predicarlo in Europa dato che presto sarà sopraffatta dall’islamismo (la battuta del parlamentare grillino, disposto a farsi saltare in aria per ottenere la liberazione del proprio paese, è appunto una battuta: nessuno ci crede, neanche lui. Chi si fa saltare in aria non dice battute).

 È questo invece un punto fondamentale dell’islamismo: deve diventare la sola religione esistente nel mondo. I nostri politici sono fuori dalla realtà quando parlano di “integrazione” degli immigrati, così come lo sono (anche se sembra un fatto quasi incredibile) i nostri vescovi, i nostri sacerdoti, perfino il nostro Papa quando si abbandonano alla speranza, al sogno del “dialogo”. Dialogo? Quale dialogo? Il Corano lo proibisce. Gli “infedeli”, ossia tutti coloro che non credono in Maometto, si debbono convertire, ma se non si convertono, sono dei nemici e devono essere trattati come nemici: “Io (il Signore) getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono, e voi colpiteli sulle nuche (decapitateli) e recidete loro tutte le estremità delle dita.” (Sura VIII)

 Siamo costretti perciò a “sospettare” che i nostri governanti non abbiano mai letto il Corano. È come dire che vogliono parlare con gli stranieri usando la propria lingua, l’ italiano. Così, per esempio, nominano con disinvoltura prettamente occidentale e politicamente corretta una persona di sesso femminile e che, come tutti gli altri politici, ha una conoscenza superficiale della religione islamica, alla carica di ministro degli esteri. Lo fanno con una tale sicurezza che potrebbe perfino indurre a ridere, se non si trattasse di una cosa importantissima e che riguarda il nostro destino. I nostri problemi più gravi, infatti, quelli affidati alla bravura della diplomazia, sono quasi totalmente problemi con paesi non occidentali: Africa, India, Medio Oriente. Paesi in cui le donne sono considerate inferiori agli uomini, impure, intoccabili, come appunto per i musulmani. Con quale buon senso si può mandare a “trattare” affari importantissimi, che riguardano gli Stati, una persona cui nessun Capo stringerà la mano per non contaminarsi?

 È evidente, dunque, che oggi il problema islamico è per l’Occidente, ma in particolare per l’Italia, data la sua posizione geografica e data la presenza del Papato, non soltanto il più grave, ma il più sottovalutato. Non si può più perdere neanche un minuto: cominciamo dal Corano. 

Ida Magli
Roma, 20 agosto 2014


                                                                                                                              

Conoscere il Corano per non morire di Islam


Conoscere il Corano
per non morire di Islam
di Ida Magli
Il Giornale | 21.08.2014

  Le reazioni dei nostri governanti, dei politici, perfino degli ecclesiastici, di fronte alla ossessionante presenza dei musulmani e delle loro gesta sul palcoscenico del mondo, sono veramente sorprendenti.  Tutti i giorni ormai da diversi anni l’Europa discute per un motivo o per l’altro di ciò che accade in Africa o in Medio Oriente, convoca i propri ministri degli Esteri e le Commissioni parlamentari apposite, ma non una sola volta (almeno a quanto ne riferiscono i giornali ) è stata concentrata l’attenzione su ciò cui credono i musulmani, sul loro libro sacro: il Corano. In Italia poi, dove se non altro a causa dell’invasione di islamici dovuta all’immigrazione, il problema è ormai diventato angoscioso e nessuno sa più come affrontarlo, i nostri leader appaiono e si comportano come degli analfabeti tanto da aver concordemente assegnato un unico nome alle migliaia di persone che sbarcano sulle nostre coste: i disperati. Non c’è definizione più sbagliata di questa: se lasciano la propria terra e si affidano a barconi sgangherati a rischio della vita è perché non sono affatto disperati ma al contrario sono sicuri che Allah li ricompenserà, perché è scritto nel Corano che il destino migliore spetta a chi emigra portando la fede in Maometto presso altri popoli, o a chi muore a questo scopo. La verità è che noi siamo come siamo sempre stati: sicuri che gli altri ci somiglino o che debbano assomigliarci. Siccome non siamo più credenti, o al massimo superficialmente credenti, pensiamo che anche la religiosità altrui sia più o meno altrettanto superficiale. In Europa, in Italia è difficile pensare che esista oggi qualcuno così credente da dare la vita per difendere il cristianesimo.  Il Papa infatti se n’è andato in Corea ad esaltare il martirio, anche se è evidente che dovrebbe predicarlo in Europa dato che presto sarà sopraffatta dall’islamismo (la battuta del parlamentare grillino, disposto a farsi saltare in aria per ottenere la liberazione del proprio paese, è appunto una battuta: nessuno ci crede, neanche lui. Chi si fa saltare in aria non dice battute).

importantissimi, che riguardano gli Stati, una persona cui nessun Capo stringerà la mano per non contaminarsi?

 È questo invece un punto fondamentale dell’islamismo: deve diventare la sola religione esistente nel mondo. I nostri politici sono fuori dalla realtà quando parlano di “integrazione” degli immigrati, così come lo sono (anche se sembra un fatto quasi incredibile) i nostri vescovi, i nostri sacerdoti, perfino il nostro Papa quando si abbandonano alla speranza, al sogno del “dialogo”. Dialogo? Quale dialogo? Il Corano lo proibisce. Gli “infedeli”, ossia tutti coloro che non credono in Maometto, si debbono convertire, ma se non si convertono, sono dei nemici e devono essere trattati come nemici: “Io (il Signore) getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono, e voi colpiteli sulle nuche (decapitateli) e recidete loro tutte le estremità delle dita.” (Sura VIII)

 Siamo costretti perciò a “sospettare” che i nostri governanti non abbiano mai letto il Corano. È come dire che vogliono parlare con gli stranieri usando la propria lingua, l’ italiano. Così, per esempio, nominano con disinvoltura prettamente occidentale e politicamente corretta una persona di sesso femminile e che, come tutti gli altri politici, ha una conoscenza superficiale della religione islamica, alla carica di ministro degli esteri. Lo fanno con una tale sicurezza che potrebbe perfino indurre a ridere, se non si trattasse di una cosa importantissima e che riguarda il nostro destino. I nostri problemi più gravi, infatti, quelli affidati alla bravura della diplomazia, sono quasi totalmente problemi con paesi non occidentali: Africa, India, Medio Oriente. Paesi in cui le donne sono considerate inferiori agli uomini, impure, intoccabili, come appunto per i musulmani. Con quale buon senso si può mandare a “trattare” affari 
È evidente, dunque, che oggi il problema islamico è per l’Occidente, ma in particolare per l’Italia, data la sua posizione geografica e data la presenza del Papato, non soltanto il più grave, ma il più sottovalutato. Non si può più perdere neanche un minuto: cominciamo dal Corano. 

Ida Magli


                                                                                                                                         

venerdì 22 agosto 2014

LA RESISTENZA FASCISTA

Daniele Lembo
LA RESISTENZA FASCISTA
FASCISTI E AGENTI SPECIALI DIETRO LE LINEE
La “Rete Pignatelli” e la resistenza fascista nell’Italia invasa dagli angloamericani

di Daniele Lembo

maro edizioni - 25 €
Il libro di Daniele Lembo ha come oggetto, come si evince dal titolo, la resistenza fascista agli angloamericani nel Sud Italia invaso.
L’autore, per la redazione del testo, oltre che consultare tutta la bibliografia esistente sull’argomento, si è avvalso delle testimonianze e di memoriali di alcuni di quelli che, considerando gli alleati invasori e non liberatori, continuarono a combatterli anche nell’Italia invasa, venendo per questo arrestati e processati. Il punto di forza del libro è costituito proprio da queste testimonianze che, assieme ad alcuni documenti inediti provenienti dal National Archives di Washington, costituiscono un vero e proprio elemento di novità sull’argomento. Il volume si articola in due parti. La prima di queste è destinata all’esame delle attività resistenziali fasciste nelle varie regioni del Sud.
Dopo un capitolo dedicato al “processo degli 88”, un famoso procedimento giudiziario che vide alla sbarra 88 giovani, e meno giovani, che intesero opporsi agli invasori Alleati, Lembo illustra al lettore quali furono, in vista dell’invasione delle regioni meridionali, i progetti militari per le operazioni di stay behind.
Nell’ambito di tali progetti vengono inclusi quelli approntati dal Regio Esercito e dalla Regia Marina, nonché dal P.N.F. che, prevedendo l’invasione della Penisola, costituì la “Guardia ai Labari.”
Dopodiché, viene considerata la resistenza clandestina in Sicilia fino al settembre 1943 - e da tale periodo alla fine della guerra - e il fascismo clandestino in Sardegna. Oltre ai moti dei “non si parte”, ovvero le manifestazioni popolari, spesso violente, di coloro i quali si rifiutarono di tornare alle armi per il Regno del Sud, per quanto riguarda la Sicilia vengono trattate le repubbliche di Palazzo Adriano, Piana degli Albanesi e Comiso. Furono queste vere e proprie repubbliche indipendenti che nacquero dalla ribellione popolare al Regno del Sud. Ci fu bisogno dell’intervento del Regio Esercito e dell’aviazione alleata per normalizzare la situazione in tali località.
Per la Sardegna vengono prese in esame le attività clandestine, l’invio di agenti speciali nell’isola e la propaganda della R.S.I. destinata ai sardi.
Esauriti gli episodi avvenuti nelle isole, si passa ai fatti di Calabria (con numerose interviste ed atti in appendice) e al fascismo clandestino in Campania e in Puglia. Un approfondito esame viene fatto per quanto riguarda l’attività del Principe Valerio Pignatelli di Val Cerchiara e di sua moglie, che furono i propulsori di una rete clandestina fascista operante al Sud.
La rete Pignatelli, che trasse origine dalla “Gardia ali Labari”, fu un’organizzazione articolata ed efficiente con continui e proficui contatti con il territorio della R.S.I..
Pignatelli ed i suoi, in generale, si occuparono di attività informativa fornendo notizie di carattere militare e generale al Nord, ma in casi particolari passarono a vere e proprie azioni militari.
La mancanza di fondi, alla quale il principe sopperì con propri fondi personali, e la stessa cattura del principe e di sua moglie non furono sufficienti a disarticolare la complessa organizzazione che si occupò anche di dare appoggio ad agenti speciali della R.S.I. giunti dal Nord con il compito di meglio organizzare la rete e di fare da consiglieri militari.
La seconda parte del libro è dedicata proprio ai servizi segreti e agli agenti speciali della R.S.I., operanti nei territori invasi.
L’autore, che trattando della resistenza fascista, definisce gli agenti speciali “l’altra faccia della medaglia”, dopo aver descritto la nascita e la struttura dei servizi segreti della R.S.I., passa alla disamina dei vari servizi speciali, ovvero quelle organizzazioni della Repubblica del Nord che inviavano agenti informativi e sabotatori oltre le linee.
Vengono esaminati il Gruppo David di Tommaso David (e la sua più nota agente, Carla Costa), ma anche i servizi speciali della X° Flottiglia Mas e dell’Aeronautica Repubblicana.
Numerosi furono gli agenti speciali che, catturati in missione, furono passati per le armi dagli alleati. Molte di queste catture furono possibili grazie ad un elenco degli agenti speciali italiani, in possesso dei servizi segreti alleati. L’autore, oltre a svelare il mistero dell’origine di questa rubrica, tenta anche di enumerare gli agenti che, catturati, furono processati e fucilati. Purtroppo, questo elenco risulta incompleto.
Il volume si chiude con un capitolo dedicato al dopoguerra che si collega ad un precedente capitolo dedicato al M.I.F., ovvero il Movimento Italiano Femminile Fede e Famiglia. Il M.I.F. potrebbe essere agevolmente indicato come: “Quello che restò della Rete Pignatelli nel dopoguerra”, perché è proprio nel dopoguerra che il M.I.F. venne allo scoperto. A crearlo fu la principessa Maria Pignatelli che riunì attorno a sé un gruppo di donne per creare un comitato che desse assistenza agli ex appartenenti alla R.S.I..
Il Movimento della Pignatelli ebbe dunque uno scopo principalmente assistenziale, occupandosi di fornire ai fascisti, in quegli anni perseguitati, un’assistenza che, più che morale, fu di tipo materiale. La principessa e le altre aderenti al M.I.F. fecero in modo che fosse fornita assistenza legale gratuita ai fascisti incarcerati che, privati del lavoro e spesso anche con i beni sottoposti a sequestro, si ritrovavano nella totale indigenza.
Il breve capitolo finale sul dopoguerra si chiude con un inquietante interrogativo che riportiamo in conclusione: ”E’ probabile quindi che, nel dopoguerra, ci sia una continuità tra i servizi segreti americani ed alcuni personaggi o interi settori delle disciolte Forze Armate fasciste repubblicane e ciò nell’ambito “dell'attenzione americana all'espansione comunista”.
Se proprio vogliamo far galoppare la fantasia, si potrebbe anche pensare che la Rete Pignatelli, individuata e disciolta nel corso del conflitto, sarà poi riammagliata negli anni successivi. Ma questa è solo un’ipotesi per sostenere la quale non ho nulla in mano se non la mia fantasia che è solita correre veloce. L’ipotesi è però indubbiamente affascinante e mi piace concludere questo libro lasciando al lettore il dubbio.”
                                                                                                                   

mercoledì 20 agosto 2014

Juncker: l’Europa (non) sceglie! (Le Spigolature - di V. Mannello )


Juncker: l’Europa (non) sceglie!

jean-claude-juncker422 a 250 ed il popolo è servito!
Questo il voto del “democraticissimo” europarlamento UEista che ha sancito la elezione del beone lussemburghese alla carica di “Presidente della Commissione” Europea.
Chiaramente non sarebbe stato necessario alcun voto dei cosiddetti “rappresentanti del popolo” europeo.
La nomina è prerogativa dei vari governi, mai sottoposta alla approvazione dei sudditi e quella degli eurodeputati è solo una ratifica di scelte che piombano dall’alto.
C’è forse qualcuno, in rete, in radio, tv, giornali o per la strada che possa affermare che non è vero?
E, ancora piú grave, che sia Juncker sia i deputati che lo hanno eletto non rappresentano la maggioranza degli europei ?
Inutile far finta di nulla, come sempre fanno media, politici, burocrati e magnacci del regime partitocratico italiano e comunitario: il 60% di noi sudditi europei NON ha (abbiamo) votato.
Juncker e soci NON rappresentano la volontà popolare e dovrebbero quantomeno dimettersi indicendo nuove elezioni.
Cambiando le regole e (sul modello dei referendum popolari) introducendo la prima di tutte: senza quorum del 50%+1 degli aventi diritto la elezione viene annullata.
Questa, secondo la mia (non solitaria) opinione sarebbe prova di vera democrazia, altroché le balle che ci propinano ogni momento!
Quanto ai cosiddetti “euroscettici”, quelli che a chiacchiere tuonano contro questo schifo ma poi siedono (ben retribuiti) a Strasburgo, noi che siamo poveri (nel vero senso) nemici giurati della dittatura UEista rivolgiamo solo un appello: passate ai fatti, riducete Bruxelles come il (fu) Vietnam…., mobilitate (con i soldi che prendete) le piazze per gettar giù Juncker e tutti gli UEisti in servizio e di complemento!
Vedremo se potremo saldare questo fronte che si oppone alla dittatura, infida e pericolosissima dei tempi moderni: l’UEismo dei banchieri,dei burocrati e dei politici di turno.

                                                                                                                            

sabato 16 agosto 2014

IL " PIANO BRITANNIA " E IL SACCO D' ITALIA (avv. E. Longo)


IL " PIANO BRITANNIA " E IL SACCO D' ITALIA

Di Reporter
Era il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari
(talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava.
Cos’era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali? Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. Con l’uragano di “Tangentopoli” gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”.
Anni dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: “Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo”. Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia , in navigazione lungo le coste siciliane.
Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani. La stampa martellava su “Mani pulite”, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti. Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria.
Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far crollare la lira. 

A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni. Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa. In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico. Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete. Spiegano il Presidente e il segretario generale del “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, durante l’esposto contro Soros: È stata… annotata nel 1992 l ‘esistenza… di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros conGerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria “Goldman Sachs & co.” come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della “Albertini e co. SIM” di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del “Quantum Fund” di Soros. III.



L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht “Britannia” della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione. I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la “necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo”, pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni. Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite.
Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il Presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: I mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell’unificazione monetaria. Il giorno dopo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché “se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco”. Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana.



Il Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato. Il 6 novembre 1993, l ‘allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare “le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute”. Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende. Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia. Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio. Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva “risanare il bilancio pubblico”, ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia.
A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri). Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani. Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank. Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell’élite, la Chase Manhattan e laLehman Brothers, si fecero avanti per attuare un’opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Il titolo, che durante l’opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò.
Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit). Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti. La Telecom , come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale. Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema.
Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni. Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere. La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti. I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, Ministro delle Infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del Presidente del Consiglio. Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati. La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l ‘amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell’ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo. Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg,Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori.
Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E’ simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: “Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom”. Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (“Bond”) con un alto margine di rischio. La Parmalat emise Bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci. Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale S.p.a. (società della famiglia Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana), Buconero LLC (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche SpA (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton S.p.a. (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat S.p.a.). La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise Bond per circa 1.125 milioni di Euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza. Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. Agli italiani venne dato il contentino di “Mani Pulite”, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere.




A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia. Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.
    Da avv. Edoardo Longo