lunedì 25 maggio 2015

PALMIRA ABBANDONATA...


Palmira in mano allo Stato Islamico : scorrono in tv le immagini (scarse e ripetute perché censurate pure su internet) della città antica "patrimonio dell'umanità" su cui sventola il nero vessillo dell'Isis.
Uno schiaffo sonoro ed in mondovisione sferrato dal Califfo a tutti i suoi nemici,vista la fama della Palmyra conosciuta "urbi et orbi".
Tantissimi avversari ,ufficialmente quasi un globo intero, visto che la sola "coalizione" raccolta da BombObama è formata da 46 stati (occidentali e non e musulmani compresi) e conta pure sulla "collateralità" di Russia,Cina ed Iran.
Ma,tutti assieme,non hanno smosso un dito (o,piú opportunamente,un grilletto) per difendere Palmira dalla furia (prevedibile) devastatrice dei seguaci iconoclasti del Califfo.
Bene,anzi male...,visto il contorno di decapitazioni ed esecuzioni sommarie associate ad ogni conquista dell'Isis.
Partendo dalla "indignata preoccupazione" di ogni comune telespettatore o lettore di giornale, colgo lo spunto per evidenziare quello che ha colpito me e,credo,solo pochissime altre persone....tutte rigorosamente "politicamente scorrette" : un fotogramma   !!
In un piccolo frammento di immagine, osservato in un video girato dagli stessi miliziani (che ora vestono uniformi militari complete),si può vedere uno di loro,presumibilmente in un acquartieramento militare governativo,strappare con rabbia due manifesti....di Assad e del partito Baath.
Simboli,l'uno e l'altro,del peggior nemico del fondamentalismo jihadista : il socialismo nazionale di matrice islamica !
Si,proprio il Partito Baath (fondato fine anni '30 del secolo scorso da un alawita sciita,da un cristiano ortodosso e da un sunnita) poneva le basi per la formazione di una Nazione Araba governata "laicamente" con il concorso delle varie componenti religiosi presenti nelle diverse realtà e cementato da una visione "socialista" per il riscatto economico,culturale e politico delle masse popolari dei singoli paesi interessati.
Per sintetizzare : una Repubblica Araba Unita cui si sarebbe benissimo applicare l'aggiunta "Sociale".
Modello Nasser,Saddam Hussein ed Assad padre...,con tutti i limiti e le "colpe" che vanno loro ascritte e considerando la diversità delle realtà storiche geopolitiche.
Queste tre personalità cercarono di costruire una nuova realtà,ciascuno nel proprio paese e superando i confini di stato e non usando certo la mano leggera nel reprimere l'opposizione,specie quella "integralista".
Però si videro anche i frutti di governi moderni,interconfessionali,socialmente piú avanzati e,per scriverla come la definiamo noi,..."laici" : scuole,università,ospedali,musei,dighe,ferrovie ed aeroporti,tutte quelle infrastrutture,accompagnate da assistenza  sociale, necessarie al progresso di un popolo ed al suo riscatto.
Conosco le obiezioni : guerre,tante guerre..,pure perse !!
Certo,guerre contro il comune e principale nemico di Egitto,Irak e Siria : Israele..ed i suoi protettori americani.
Sconfitti sul fronte israeliano,con perdita di territori ed ingentissime risorse,i capi Baathisti dovettero affrontare i problemi interni ed il sogno "unitario" svanì.
Gli Usa,con Israele e tutto l'Occidente, smantellarono in seguito questa presenza in Egitto (con dittatori filoccidentali alla Al Sisi di oggi),in Irak (con Al Maliki ed eredi) e,per estensione pur anomala,in Libia assassinando Gheddafi e creando il caos che conosciamo.
Resta la Siria di Bashar al Assad,l'ultimo Baathista da eliminare....
E quì torniamo alle righe di partenza : Palmira è caduta senza che BombObama ed i suoi servi abbiano inviato un solo drone a bombardare i miliziani neri...perché ??
Forse gli occidentali preferiscono un Califfato integralista e spietato come non mai a (presunti) dittatori che,ragionando in proprio,non si prostravano e prostrano (come Assad in Siria) al liberalcapitalismo imperialista di Obama ed alla "sicurezza" di Israele ??
Se è così,e tutto fa pensare lo sia,ritengo si tratti di un altro errore di incalcolabile portata : oggi Isis balla sulle rovine di Palmira,domani dove arriverà la bandiera nera del Califfo  ??

Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello

                                                                                                                                      

venerdì 22 maggio 2015

STORIE DI ITALIANI ALLO STREMO

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico, coordinato dall' avvocato Edoardo Longo.

STORIE DI ITALIANI ALLO STREMO



In data di ieri 20 Maggio 2015 dal Comune di Valdagno mi è pervenuta una lettera che mi verrà versato in mio c/c la somma di 340,00 €uro, quando le mie bollette scadute presentate al Comune stesso, corrispondono a una cifra più elevata, pari a €uro 490,00.Riepilogando, Bolletta acqua, 35,80, altra bolletta acqua 49,20, bolletta gas 301,28, bolletta enel 97,62 per un totale complessivo di €uro 490,00. A tale somma complessiva DICHIARO di non riuscire a saldare i conti, perchè per pagar tutto mancano ancora 150,00 €uro che non dispongo, non avendo nessun reddito. 

A giorni mi verrà staccato tutto, una volta staccato tutto, mi vedo e sono costretto a ritornare a vivere in automobile.... e pensare che nella mia querela contro l'assistente sociale, (che ancora una volta allego) avevo chiesto che non pretendevo 900,00 euro mensili come fanno con gli extracomunitari ma almeno 600,00 euro al mese, mentre la risposta era stata che erano soltanto disposti a pagarmi le bollette, ma a mio avviso vedo che ora neppure quelle.

Nella vita ho capito una cosa: Che se sei povero, con gli assistenti sociali si diventa ancora piu' poveri ed io nonostante i miei curriculum di lavoro ovunque, tutt'oggi mi ritrovo un fallito e a dover combattere con la vita iniziando nuovamente a vivere in automobile.

Nella mia precariata situazione, l'indirizzo di residenza sarà valido solo per la posta, ma già da oggi staccherò dalla cassetta postale e dal citofono il mio nominativo.

Mi leveranno ancora la fissa dimora? lo facciano pure, lo hanno fatto pure in passato che poi nel 2006 due comuni mi hanno negato anche il diritto di votare alle politiche, perchè senza fissa dimora.

Ringraziando questa Italia, disonesta verso un Cittadino Italiano.

                                                                                                                                         

martedì 19 maggio 2015

ANCORA GLI OPPOSTI ESTREMISMI?

ANCORA GLI OPPOSTI ESTREMISMI?

Ecco, ci risiamo, stanno rifacendo la solita sceneggiata degli “opposti estremismi” per uscire dallo stallo politico che li sta mettendo in difficoltà.
La politica della partitocrazia che da decenni domina la scena e malgoverna l’Italia è nuovamente arrivata ad un punto di rottura, con la gente che si sta scocciando di promesse non mantenute, di balle raccontate sui giornali ed in TV, di un tenore di vita sempre più miserabile a confronto di una casta di parassiti che sempre di più pretende ed ottiene privilegi intollerabili e che sempre di più viene scoperta a corrompere ed a farsi corrompere da comitati d’affari che gestiscono solamente gli interessi di ristrette èlite economiche fregandosene bellamente della sorte del cittadino.
Destra o centrosinistra ormai non fa differenza e gli scandali si accavallano dimostrando le commistioni con la politica di ogni colore.
Dai furbetti del quartierino, alle Coop rosse, alla corruzione di giudici per verdetti favorevoli, alle dinastie di primariati ospedalieri o di dirigenze universitarie, alle nomine di favore, alle liste di attesa lunghissime ( checché ne dicano i dirigenti Asl) per vere un esame, una  cura, un intervento, agli stipendi e salari che per la maggior parte degli italiani sono ai limiti della sopravvivenza.
Abbiamo i parlamentari più pagati  ed i lavoratori meno pagati d’Europa e questo vorrà pur dire qualcosa; i nostri parlamentari vanno in pensione dopo 35 mesi mentre chi ha lavorato una vita ci va dopo 35 anni ed ora pare che non bastino più..
Ed allora che succede?
Si ricreano gli opposti estremismi con assalti alle sedi di Forza Nuova, con pestaggi, aspettando che ci sia la reazione e che ci scappi il morto come è già successo negli anni passati..!
Ma possibile che la sinistra radicale, quella dei centri sociali, sia così cretina da farsi manipolare ogni volta che ai padroni fa comodo per distrarre l’attenzione dai problemi che essi non sanno e non vogliono risolvere e che si prestino, alla fine, a fare da carne da macello, oltre che da soliti “utili idioti”..??
Ma non capiscono che il problema non sono i ragazzi di Forza Nuova che protestano  contro l’immigrazione clandestina che tra l'altro, oltre alla delinquenza porta anche a perdite di posti di lavoro a causa del levoro nero ( senza per altro avere speranza di incidere in alcun modo sul problema in termini reali data l’esiguità del loro peso politico)?
E’ già successo negli anni settanta ed alla fine chi ci ha guadagnato se non i soliti “mammasantissima” della politica ed i loro padroni Americani?
Possibile che bastino un paio di provocatori infiltrati per scatenare centinaia di elementi dei centri sociali, strafatti di “roba” a fare il lavoro sporco che creerà la situazione di tensione sociale che la partitocrazia attende per uscire dalla crisi come salvatrice della patria..??
I nemici veri dei lavoratori non sono i ragazzi di Forza Nuova, i nemici veri sono acquattati nelle banche da dove danno gli ordini ai loro servi della politica.
I veri nemici sono i politici collusi con le mafie ( leggetevi “cose di cosa nostra” di Giovanni Falcone..!).
I veri nemici sono i sindacalisti imbelli che fanno da sponda ad una politica inetta, disonesta e complice di interessi che non sono quelli dei lavoratori..!
Di nemici veri ce ne sono tanti.
Basta guardarsi in giro con occhio attento ed un po’ di intelligenza..
Ma forse è proprio quest’ultima merce che manca alla sinistra radicale..!!

Alessandro Mezzano
                                                                                                                                                    


sabato 16 maggio 2015

Bobby Sands: il cuore e l’anima della rivoluzione irlandese

Bobby Sands: il cuore e l’anima della rivoluzione irlandese



La protesta che investì il complesso penitenziario di Long Kesh, collocato vicino Belfast, iniziò a divampare nel 1977, quando gli oltre trecento detenuti irlandesi, tutti prigionieri politici repubblicani incarcerati per reati consumati contro l’occupazione britannica, considerati volutamente dalle autorità penitenziarie alla stregua dei detenuti comuni, decisero di rifiutarsi di indossare la tenuta carceraria che li equiparava ai criminali comuni per rivendicare, in quanto militanti nazionalisti, il riconoscimento della loro condizione reale di prigionieri politici.
La blanket protest aveva anche lo scopo di fare giungere all’esterno del carcere notizie sulla reale situazione nella quale versavano i detenuti e sui continui e pesanti maltrattamenti fisici e sulle perduranti violazioni della dignità personale che i prigionieri nazionalisti erano costretti a subire in quanto tali.
Maltrattamenti, pestaggi, “terapie” di correzione che a malapena mascheravano gli sfoghi delle guardie (tutte protestanti e ‘lealiste’, quindi torturatori volontari) che, con il beneplacito dell’amministrazione carceraria, potevano accanirsi senza riguardo alcuno contro i prigionieri repubblicani: “La tortura era una di quelle cose cui avevamo imparato ad abituarci. In realtà avevamo dovuto abituarci (…) non sapevamo mai quale porta avrebbero aperto, chi di noi avrebbero trascinato fuori dalla cella e pestato senza pietà.” Nudi come dei vermi, si coprivano solamente le parti intime con un asciugamano, i prigionieri, vista l’indifferenza glaciale dei carcerieri, furono costretti ad inasprire la protesta passando successivamente alla dirty protest ovvero cominciarono a rifiutarsi di radersi, di farsi tagliare i capelli, di lavarsi e infine si opposero allo svuotamento quotidiano dei buglioli, presenti nelle celle, che contenevano i loro escrementi.
La feroce perfidia delle guardie arrivò al punto di trovare divertimento, ogni mattina, nell’irrompere nelle celle e rovesciare sul pavimento, con un calcio, il contenuto dei buglioli.
Così tutti i giorni, per settimane. Le celle erano diventate delle squallide e sudice fogne dove, a denti stretti, continuava la resistenza dei prigionieri: “Ci sono diversi modi per scuoiare un animale e, nel nostro caso, per tentare di spezzare la resistenza di un prigioniero di guerra.”
Le guardie, sempre tutelate e incitate dalle autorità, si misero d’impegno per piegare la protesta dei blanketmen diminuendo le già ridotte razioni di cibo e utilizzando alimenti avariati, aumentando il numero delle irruzioni nelle celle, sia di giorno che nella notte, per gli ormai divenuti consueti pestaggi e per le degradanti perquisizioni corporali nelle parti intime che precedevano i pestaggi.
A fronte di quelle continue umiliazioni i prigionieri trovarono lo stesso il conforto necessario nella certezza della vittoria, proclamando orgogliosamente “il nostro giorno verrà”, e lo proclamarono in gaelico: Tiocfaidh ar là!
Quando venne permesso all’arcivescovo cattolico Thomas O’Fiaich di visitare i prigionieri lo squallido spettacolo che si presentò agli occhi del prelato fu così sconvolgente da lasciarlo profondamente turbato: “Lasciando da parte l’essere umano, difficilmente si lascerebbe vivere un animale in tali condizioni. L’immagine che più si avvicina a ciò che ho visto è quella delle centinaia di homeless che vivono nelle fogne di Calcutta.” Lo stesso turbamento, però, non scalfì la ferrea arroganza britannica.
I prigionieri avanzarono, allora, al Governo britannico una serie di richieste politiche che se concesse avrebbero posto fine alla protesta. Richiesero che ai prigionieri repubblicani fosse garantito il diritto ad indossare i propri indumenti anziché la tenuta carceraria, non fossero obbligati al lavoro carcerario, fosse loro garantita la possibilità di ricevere una visita e una lettera settimanalmente, fosse loro permesso di unirsi con gli altri prigionieri durante l’ora d’aria e, infine, che potessero usufruire anche loro degli sconti di pena al pari dei detenuti comuni. Il Governo britannico rispose che non avrebbe mai trattato con dei terroristi e, pertanto, avrebbe rigettato le richieste. Per questi motivi e visto il perdurare dell’indifferenza dell’amministrazione politica inglese, che non si sentiva minimamente colpita dalla campagna di controinformazione che dall’esterno gettava logicamente discredito su di essa, il consiglio politico dei prigionieri decise, dietro indicazione strategica dell’IRA, di alzare ancor di più il tono della protesta adottando la forma più estrema e radicale che si potesse immaginare: lo sciopero della fame.
Il primo prigioniero ad iniziare la nuova protesta sarà Brendan Hughes, comandante dei prigionieri repubblicani di Long Kesh, lo seguiranno a ruota altri sette detenuti.
Queste prime proteste durano poco — pur sempre una cinquantina di giorni che ridussero i prigionieri in fin di vita — perché gli inglesi, barando, fecero trapelare la notizia di una possibilità di intesa riguardo alle richieste. Ma si trattò solamente di una delle solite vigliaccate inglesi. Non rimaneva, a questo punto, per gli avviliti prigionieri altra scelta che riprendere con decisione la protesta e portarla fino alle estreme conseguenze.
Toccherà, per sua libera scelta, ad un giovane prigioniero di nome Bobby Sands diventare il protagonista e il simbolo di tutti gli hunger strikers.
Bobby Sands era un volontario dell’IRA a tutti gli effetti, si era voluto arruolare nel 1972 dopo che aveva provato sulla propria pelle e su quella della famiglia le angherie e i soprusi dell’occupazione britannica, le discriminazioni e le intimidazioni degli attivisti protestanti e soprattutto il particolare senso della ‘giustizia’ degli inglesi. Era arrivato a Long Kesh, “ospite” nei famigerati H-Blocks verso la fine del 1977 per scontare una condanna a 14 anni di reclusione per partecipazione ad azioni di terrorismo, fu quindi automaticamente solidale e partecipe con gli altri prigionieri nello svolgimento della protesta per i diritti politici. In carcere irrobustirà la propria formazione politica e culturale e si impegnerà, anche, nello studio del gaelico e il 1 marzo del 1981 deciderà di donare integralmente sé stesso alla causa del suo popolo, per la liberazione dell’Irlanda, per denunciare a tutto il mondo i crimini britannici in terra irlandese.
Inizierà così lo sciopero della fame ad oltranza di Bobby Sands che, per la generosità del suo gesto e la bontà della fede che albergava nel suo grande cuore, diventerà il simbolo della sofferenza irlandese e la bandiera del riscatto nazionale: “Accettare lo status di criminale significherebbe degradare me stesso e ammettere che la causa in cui credo e di cui mi nutro è sbagliata. Quando penso agli uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita, le mie sofferenze mi sembrano insignificanti. Ci sono stati molti tentativi per piegare la mia volontà, ma ognuno di questi tentativi mi ha reso ancora più determinato.”
Il Governo britannico, allora guidato dalla Margaret Thatcher, manifestò imperterrito tutto il suo cinico disprezzo nei confronti degli hunger strikers, nonostante che il valore della protesta avesse ormai già varcato i confini dell’Irlanda del Nord e generasse, ovunque, commozione e solidarietà.
L’opinione delle autorità britanniche consistette nell’affermare che se dei “terroristi” avevano deciso di morire di fame, allora potevano pure tranquillamente farlo, con la “benedizione” di Sua Maestà.
Eppure, grazie alla grande solidarietà del movimento repubblicano e agli sforzi del Sinn Fein, guidato dal nuovo presidente Gerry Adams (l’ex comandante della brigata di Belfast dell’IRA) Bobby Sands venne, anche, eletto deputato al parlamento di Westminster.
La notizia che un “terrorista” era diventato un parlamentare rappresentò un boccone troppo indigesto, anche per la Lady di ferro, e al contempo dimostrò che quel “terrorista” era il volto dell’Irlanda e che la Nazione irlandese si stringeva attorno ai suoi prigionieri politici.
Secoli di lotta contro la dominazione britannica avevano abituato gli irlandesi ad andare incontro alla morte anzitempo, anche quando la morte si presentava sotto le forme della casualità e della sfortunata coincidenza, come spesso accadeva nell’Irlanda del Nord. Bastava trovarsi nel posto sbagliato e nel momento sbagliato e poteva succedere di tutto all’improvviso: un’autobomba che esplodeva di fronte ad un pub, una raffica di mitra proveniente da una macchina in corsa, i colpi sparati da un cecchino inglese troppo nervoso o da uno sbirro della RUC troppo zelante. Ma l’andare incontro alla morte, come fecero gli hunger strikers, come se fosse un estremo atto d’amore nei confronti del proprio popolo e della propria Nazione, rappresentò una novità così sconvolgente da marcare la coscienza degli irlandesi in maniera indelebile.
Dopo 66 giorni di digiuno, Bobby Sands, morendo poneva fine al suo doloroso calvario.
A coloro che nei giorni precedenti il decesso, implorandolo, gli chiedevano di smettere, di interrompere la protesta Bobby Sands, serenamente, rispondeva: “Sorry, but I must die”, Scusatemi, ma io debbo morire. Il 5 maggio 1981 l’Irlanda repubblicana era in lutto, quella protestante in apprensione per quello che avrebbe potuto fare l’IRA.
Non era ancora tempo di vendette, quel momento sarebbe giunto, ma dopo i funerali.
Dopo Bobby Sands moriranno altri nove prigionieri che avevano iniziato a ruota lo sciopero della fame ad oltranza: Francis Hughes, Raymond Mac Creesh, Patsy O’Hara, Joe Mac Donnel, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kievan Doherty, Seamua Mac Elwain e Micky Devine. Anche loro si immoleranno volontariamente sull’altare sacrificale della libertà irlandese e il numero dei “votati al martirio” sarebbe stato anche maggiore se, nel frattempo, non fosse giunto a Long Kesh l’ordine da parte del Comando dell’IRA di interrompere la protesta.
I funerali di Bobby Sands saranno solenni e imponenti, decine e decine di migliaia di irlandesi accompagneranno il feretro del combattente repubblicano, avvolto nella bandiera tricolore irlandese, nel suo ultimo viaggio verso il cimitero di Milltown, non mancherà neppure il picchetto armato d’onore dell’IRA.
I fucili dell’IRA spareranno a salve per rendere testimonianza e gratitudine al coraggioso volontario.
L’esercito britannico che in forze e a distanza presidiava la zona dovrà sopportare anche questo affronto.
“Bobby Sands, deputato al Parlamento, volontario dell’IRA, prigioniero politico di guerra, Requiescat in Pacem.”
Con i funerali di tutti e dieci hunger strikers si andava così chiudendo una delle pagine più gloriose della tormentata storia dell’eroico popolo irlandese. Dimenticare tutto questo, dimenticare il loro sacrificio sarebbe ingiusto nei confronti della Storia della Nazione irlandese, ma soprattutto sarebbe un’offesa alla nostra coscienza e alla loro memoria

Onore ai caduti dell’Esercito repubblicano irlandese!

Onore a Bobby Sands e ai martiri di Long Kesh!

                                                                                                     

venerdì 15 maggio 2015

QUANDO DRAGHI DA' RAGIONE AD AURITI....

QUANDO DRAGHI DA' RAGIONE AD AURITI....

                                     AVV. E. LONGO


 di: Anonimo Pontino.
Nel processo di creazione dei simboli monetari, si è erroneamente indotti a credere che viene a crearsi anche un valore.

La propaganda culturale al servizio dell’elite finanziaria diffonde dogmi economici che, pur privi del minimo fondamento scientifico, difendono nell'immaginario collettivo l’idea della moneta come merce. L'illusione   che   la   moneta   sia   una "fede   di   deposito".

 L’idea che il valore sia una proprietà della materia.

A volte però l’elite si lascia sfuggire alcune verità (che loro sanno da sempre), consapevoli del fatto che ormai abbiamo perso ogni riferimento, consapevoli che il sistema di potere che loro hanno creato  è così efficace da dirigere il nostro ragionamento a credere quello che loro vogliono.

Nell'aprile del 2011 l'allora governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, partecipò all'inaugurazione della mostra “ La moneta dell'Italia Unita: dalla Lira all'Euro” in occasione del 150° anniversario dell'unità d'Italia. In questa occasione fece un intervento che diede implicitamente ragione ad Auriti  parlando di “valore della moneta per fiducia”. Ovviamente ne parlava come banchiere, cioè come proprietario della moneta.

Vediamo le sue dichiarazioni:

<Tra l’Ottocento e il Novecento anche l’Italia passa da un sistema in cui la moneta è di metallo prezioso, o in esso convertibile, a uno di moneta puramente fiduciaria. Nel primo, la stabilità monetaria è sancita dal mantenimento della convertibilità della valuta in oro alla parità prefissata.(...)Con il prevalere della moneta cartacea l’innovazione istituzionale in campo monetario è radicale. Si affermano le moderne banche centrali, si definiscono norme, regole, organizzazioni, necessarie per il governo di una moneta il cui valore non è più ancorato a quello di un metallo, ma è completamente basato sulla fiducia.>

Avete capito!

“governo di una moneta il cui valore è completamente basato sulla fiducia”.

Ovviamente si parla della NOSTRA fiducia.

Anche i banchieri sfiduciano monete non accettandole come pagamento nelle transazioni.

Il fatto che la gente possa rifiutarsi di dare FIDUCIA ad una moneta emessa in prestito da BANCHE PRIVATE alla collettività, non è accettabile dai banchieri. Ecco perché la Legge impone la sua circolazione come unica moneta valida, cioè il corso “forzoso”.

Ancora un’altra affermazione di Draghi:

<Oggi si ha ragione di ritenere che la stabilità della moneta e dei prezzi sia legata alle aspettative degli operatori. Queste si formano sulla base di elementi come: la chiarezza e la certezza delle regole di creazione della moneta; l’affidabilità e la credibilità delle istituzioni che la governano.>

Le aspettative di cui parla Draghi non si basano su algoritmi matematici o statistici applicati all’economia, ma sull’ “affidabilità e la credibilità delle istituzioni che governano la creazione della moneta”…

Si basano cioè sul Diritto, sulla Legge e NON sull'economia.

Esattamente quello che diceva Auriti.

Quindi…che cos’è una rapina in banca a confronto con la fondazione di una banca?

Sam Bronfman (suo figlio fu presidente del Congresso Mondiale Ebraico) era  un boss mafioso che durante il Proibizionismo aveva costruito la sua fortuna con il traffico illegale degli alcolici. 

Successivamente fece ancora più quattrini con il prestito ad interesse. Poco prima  che morisse, un giornalista gli chiese quale fosse la più grande invenzione dell’umanità. “Il prestito ad interesse”, fu la sua risposta… (www.israelshamir.net )





martedì 12 maggio 2015

PERSECUZIONI RELIGIOSE DEL COMUNISMO CINESE .

PERSECUZIONI RELIGIOSE DEL COMUNISMO CINESE

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Il comunismo, in quanto estrinsecazione di un ateismo tanto sconfinato quanto plateale, non solo dissacrante ma distruttivo e feroce nei confronti di qualsiasi religione, trova nel Paese del “Celeste Impero” una corrispondenza simbiotica con questi particolari aspetti che lo caratterizzano.
La politica cinese nei confronti di ogni religione è infatti impregnata nella sua essenza di un odio implacabile, che soffoca ogni tentativo di misticismo e di anelito religioso e spirituale.
Vere e proprie stragi di religiosi sono state compiute in nome di Marx, mentre la furia e il parossismo nichilista delle autorità comuniste ha spesso trovato sfogo nella distruzione di chiese, templi, o pagode delle varie rappresentanze religiose.
Il Tibet assiste oramai da anni alla sistematica distruzione delle bellissime pagode in cui i pacifici monaci buddisti esercitano la loro passione di vita votata alla religione.
A ciò va aggiunto che, poiché il tessuto sociale tibetano è impregnato dell’essenza stessa della religione buddista, producendo come risultato una vera e propria simbiosi tra buddismo e popolazione, le autorità cinese hanno organizzato un genocidio sistematico dell’intera popolazione.
Interi gruppi familiari buddisti vengono prelevati e deportati, nell’indifferenza dei Paesi occidentali, e sostituiti con gruppi di etnia cinese che ne prendono il posto. 
Sono state proibite tutte le manifestazioni di cultura buddista, come la lingua, le usanze, la bandiera, e le tradizioni, nel tentativo di estirpare radicalmente la religione dal territorio comunista cinese.
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I monaci protestano platealmente e decisamente, ma è rimasto loro un unico sistema per farsi ascoltare dalla comunità internazionale : l’auto immolazione con il fuoco.
Non passa giorno senza che qualche sacrificio umano si verifichi in Cina, in nome di una libertà costantemente negata.
Lo straziante grido di aiuto dei monaci tibetani ha preso le sembianze di una estrema e lacerante offerta che è quella della propria vita, a ribadire il rifiuto di un comunismo opprimente e devastante che non permette alle persone nemmeno di adorare il proprio Dio.
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Allo stato attuale risultano essere moltissimi i preti che sono letteralmente scomparsi nel nulla, svaniti nei meandri di un apparato comunista feroce e sanguinario.
In Cina, parallelamente alla Chiesa cattolica, che segue le linee guida del Vangelo sotto la benedizione del Santo Pontefice, esiste anche un’altra Chiesa, posizionata dal regime “ad hoc” sul territorio per “confondere le acque”, e per dare al popolo un apparato pseudo-religioso che pur avendo le sembianze di un organismo religioso, in realtà altro non è che uno strumento di controllo che il potere comunista esercita sulle masse.
In questo modo, la Chiesa “di regime” denominata “Ufficio affari religiosi” assume il ruolo di rappresentante legale delle coscienze, di cui il partito comunista ne è lui stesso il controllore, mentre la vera Chiesa cattolica, quella legata al Papa e al Vangelo diventa una organizzazione fuori legge e sotterranea, che può operare solo di nascosto e rischio della vita.

La preghiera assume quindi la caratteristica di crimine contro lo Stato mentre la Santa Messa e l’appartenenza stessa alla comunità cristiana è oggetto di persecuzione.
La deportazione dei cristiani e il loro internamento nei laogai, i famigerati lager del secondo millennio, sono lo strumento principe con cui il regime comunista annichilisce chiunque non si allinei alla linea di pensiero marxista, accompagnando la carcerazione con sistemi di lavaggio del cervello collaudati da decenni, con l’uso della tortura, e con sedute di “rieducazione” coatta.
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A questo proposito, suggerisco la lettura di “Zuppa d’erba” scritto da Zhang Xianliang, sopravvissuto a 22 anni di “campo di rieducazione” cinese, di cui scrissi una recensione al LINK :
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Ad esempio del “modus operandi” del regime comunista possiamo citare il caso del  vescovo Mons. Tommaso Zeng Jingmu, della diocesi “sotterranea” di Yujiang, che ha passato 23 anni in prigione per il solo fatto di essere fedele alla religione cattolica e per la sua obbedienza al Pontefice.
Nel mese di maggio del 2014 è stato arrestato l’amministratore apostolico della stessa diocesi cinese di Yujiang, padre Giovanni Peng Weizhao, 40 enne, che svolgeva la sua attività religiosa sotterranea, in contrasto con i dictat del partito comunista.
Di lui è ignota la sorte poiché è detenuta in località sconosciuta.
Il pastore Zhang Shaojie della provincia di Henan, sta scontando una pena di 12 anni di detenzione per “aver radunato la folla allo scopo di turbare l’ordine pubblico”, mentre in realtà svolgeva le sue funzioni di prete durante lo svolgimento di una messa.
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Con la stessa motivazione è stato arrestato e condannato a sette anni Yang Rongli che guidava la Chiesa Linfen della provincia di Shanxi.
In un’altra provincia, quella dello Zhejiang invece, secondo i rapporti di China Aid, la repressione si è recentemente focalizzata sulla distruzione dei luoghi di culto, che ha portato alla demolizione di più di 60 chiese di quel territorio.
China Aid è una organizzazione che dal 2002 combatte in Cina per la salvaguardia dei diritti umani, per la liberazione dei detenuti prigionieri di coscienza, per la libertà religiosa, e per contrastare gli abusi e le persecuzioni del regime comunista cinese.
La repressione comunista non si accanisce solo sui 12 milioni di cattolici presenti in Cina, ma anche su qualsiasi altro movimento religioso, come ad esempio quello del Falun Gong (detto anche Falun Dafa) i cui adepti testimoniano un costante ricorso alla tortura da parte delle autorità nei loro confronti.

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Anche nei confronti di questo movimento spirituale infatti si accanisce costantemente la furia del governo cinese, capitanato da Xi Jinping, un vero e proprio criminale comunista che combatte qualsiasi dissenso col pugno di ferro.
Sono infatti più di 1.000 gli attivisti per i diritti umani imprigionati fino ad oggi dal Presidente Xi Jinping che sta operando quindi la più grave repressione dal massacro di Piazza Tienanmen del 1989.
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Il percorso criminale cui il comunismo ci ha abituato nelle varie zone del mondo in cui è stato ed è presente, si snoda in Cina attraverso le persecuzioni cui diedero origine Mao Zedong “in primis”, insieme alla sua ultima moglie Jiang Qing durante la cosiddetta Rivoluzione Culturale, e proseguite poi con le nefandezze e i soprusi attuati dagli altri leader comunisti, come Deng Xiaoping o Zhou Enlai.

Oggi alcune tra le maggiori organizzazioni che operano a favore dei diritti umani, asseriscono che la Cina è il paese al mondo in cui si eseguono più condanne a morte.
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Le stime di “Amnesty International” arrivano ad ipotizzare, in mancanza di dati “ufficiali”, di almeno 6.000 esecuzioni all’anno nella Cina comunista, mentre “Nessuno tocchi Caino” offre analisi di pari entità.
Un esponente politico cinese, invece, il Preside dell’Università di Legge dell’Università sudorientale cinese, ha parlato di 10.000 esecuzioni annuali.
L’Occidente sembra completamente disinteressato a tutto ciò, capitanato da orde di “politici” interessati solo a riempirsi le tasche e a mantenere uno “status” privilegiato nei confronti di quegli elettori che, inspiegabilmente continuano a votarli…
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Gli interessi economici rappresentano la “chiave di volta” attorno a cui ruota il sistema comunista cinese continua imperterrito a compiere i suoi misfatti.
Negli ultimi anni la Cina è riuscita a detenere percentuali significative dei debiti pubblici di alcuni tra i più importanti Stati Occidentali, aumentando le esportazioni e le importazioni, creando una dipendenza interattiva nei mercati economici, a cui poco importa se le opportunità di guadagno siano legate ad un sistema di sfruttamento e di repressione di un intero popolo.
Le fabbriche cinesi che producono a ritmo continuo i prodotti esportati in Occidente, sono spesso lager camuffati da imprese commerciali, anche con nomi altisonanti, come ad esempio “JINZHOU JINKAI ELECTRICAL GROUP”.

In questi veri e propri mattatoi si macella carne umana, sfruttando il lavoro gratuito di schiere di deportati per motivi religiosi, o politici, o razziali, imponendo loro ritmi di lavoro obbligatori, come si usava fare anche nei lager staliniani (la famosa “norma”) e con coercizioni e torture quotidiane.
I prodotti che arrivano in Occidente dalla Cina sono lordi del sangue di milioni di vittime dell’apparato sanguinario cinese, uno dei “paradisi comunisti” ancora esistenti oggi.
La sete di denaro che attanaglia le economie mondiali permette che accada tutto ciò, al punto che i Presidenti delle repubbliche europee, e non solo, ad uno ad uno, si sono sperticati in strette di mano, sorrisi di compiacimento, ed elogi, nei confronti del presidente cinese.
Mentre 50 milioni di esseri umani sono oggi segregati in campi di concentramento, abbiamo assistito attoniti alla stretta di mano di Xi Jinping con :
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Matteo Renzi, Presidente del Consiglio italiano,
Giorgio Napolitano, ex Presidente della Repubblica Italiana,
Silvio Berlusconi, ex premier italiano,
Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti,
Ban Ki-moon, Segretario generale delle Nazioni Unite,
Dan Kritenbrink, vicecapo della missione diplomatica statunitense in Cina,
Mamnoon Hussain, Presidente del Marocco,
Alberto II, Principe di Monaco,
Angela Merkel, Premier tedesco,
Ashraf Ghani Ahmadzai, Presidente dell’Afghanistan,
Kirill I, Patriarca ortodosso di Mosca,
Shinzo Abe, Primo ministro giapponese.
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Vorrei chiarire la semantica di alcuni termini che ricorrono nella storia repressiva comunista cinese, attraverso cui possiamo farci un quadro più oggettivo.
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LAOGAI

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E’ il sistema basato sui campi di concentramento cinesi, sulle prigioni e sul lavoro forzato, sui centri di detenzione e sugli ospedali psichiatrici.
Il termine tradotto significa “riforma attraverso il lavoro”.

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Il governo comunista, dopo che il termine Laogai ha iniziato ad essere conosciuto in Occidente, lo ha modificato, rimpiazzandolo con quello più generico e innocuo di “prigione”.
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In queste strutture il detenuto è obbligato a lavorare, per “servire alla costruzione economica dello stato”, contribuendo alla produzione di quanto occorre per le attività imprenditoriali previste.
In questo modo si producono quantitativi considerevoli di materiali a costo zero che invadono poi i mercati occidentali.
Queste merci sono estremamente competitive per quanto riguarda il prezzo, poiché la mano d’opera non prevede i percorsi che in Occidente tengono conto dei diritti delle manovalanze e degli operai preposti alla produzione, come i salari e le assicurazioni sanitarie o pensionistiche.
Questa concorrenza sleale, che ha rovinato interi settori merceologici europei, si basa sullo sfruttamento e sulla vita stessa di milioni di persone tenute prigioniere dal regime comunista cinese.

Chi si rifiuta di collaborare viene condannato a morte, come nemico dello Stato,  e i suoi organi vengono prelevati per entrare  a far parte di un turpe mercato in cui la Cina è prima al Mondo, e cioè il commercio di organi umani.
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Una indagine della Laogai Research Foundation ha stimato in 1.422 il numero dei laogai oggi presenti sul territorio cinese, ma probabilmente il numero effettivo dei campi di concentramento è molto più elevato.
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LAOJIAO

E’ una forma di detenzione amministrativa, secondo cui il regime può tenere in carcere i cittadini cinesi fino a tre anni anche senza processo.
Il termine tradotto significa “rieducazione attraverso il lavoro”.
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Coloro che risultano essere invisi al regime possono anche ritrovarsi chiusi in manicomio ed essere sottoposti a cure psichiatriche forzate, compreso l'elettroshock.
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ANKANG

Paradossalmente questo termine tradotto significa “pace e salute”, mentre in realtà l’ankang è una forma di detenzione psichiatrica.
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BLACK JAILS
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Sono parte di un sistema di detenzione segreto formalmente illegale, noto al regime che però non solo finge di non conoscere ma anzi lo tollera.
I singoli cittadini possono presentare alle autorità delle denunce o delle petizioni riguardo gli abusi subiti da parte di funzionari locali, e per questo viaggiano fino a Pechino o fino alla capitale della provincia in cui risiedono.
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I funzionari però, forti di squadracce di mercenari, tentano di impedirlo e di catturare i malcapitati, rinchiudendoli poi in strutture, a volte affittate allo scopo, e sottoponendoli a restrizione della libertà e a torture, complice un regime compiacente.
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Segnalo ora alcuni Laogai che pubblicizzano impunemente  in Internet la loro attività commerciale :
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Food & Beverage Online  -  LINK : http://www.21food.com/
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OriProbe Information Services  -  LINK :  http://www.oriprobe.com/
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Mint Powerful streamlined business information  -  LINK : http://mintportal.bvdep.com
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MadeInChina.com  -  LINK : http://www.madeinchina.com/
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Chinabizdb  -  LINK : http://www.chinabizdb.com/
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Chinaec8  -  LINK : http://www.chinaec8.com/
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Boicottiamo i prodotti cinesi, in nome dei diritti dell’uomo !
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Non rendiamoci complici di questo turpe commercio di vite umane !
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Dissenso
                                                                                                                                                                                                                                 
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domenica 10 maggio 2015

COOPERATIVE ROSSE

   Cooperative rosse

 

Cooperative rosse da utopia a cassaforte
Scippate ai «padri» riformisti furono trasformate dai comunisti nel «tesoro privato» del partito Viaggio attraverso le trasformazioni di un soggetto socialedi Antonio Landolfi
Nacque la Lega delle Cooperative e con essa nacque una sorta di repubblica economica autonoma che faceva capo direttamente al PCI, ne costituì una grande forza finanziaria partecipe della vita economica del paese ma in piena indipendenza dal resto della nostra economia. In breve tempo l’organizzazione cooperativa divenne il perno finanziario del partito comunista, visto il suo rigoglioso sviluppo nelle “regioni rosse”. All’interno dell’organizzazione, un certo spazio fu dato anche ad altri partiti della sinistra: il ruolo di vicepresidente nazionale veniva riservato ai socialisti nenniani ed anche saragattiani, sia nell’epoca frontista del PSI, sia nella fase successiva dell’autonomia socialista, compresa l’epoca craxiana. Uno spazio era concesso anche ai repubblicani, data la tradizione cooperativistica di marca mazziniana che aveva consistenti radici nelle zone rosse della Romagna e delle Marche.
I partiti non comunisti ne traevano qualche vantaggio, ma le cooperative e la struttura federale restavano saldamente in mano al PCI, di cui erano sempre di più un supporto elettorale ed anche finanziario indubbio. Furono i politologi che facevano capo alla rivista “il Mulino”, che risiedeva a Bologna, e costituiva quindi un ottimo osservatorio, a coniare il termine “collateralismo”, con cui si definiva il rapporto ombelicale che legava le organizzazioni di massa (e la Lega delle cooperative senz’altro lo era) al partito di Togliatti, Longo, Berlinguer ed Occhetto. Tutto questo si sapeva già nell’Italia degli anni cinquanta. Nessuno era in grado di circoscrivere il fenomeno. Neppure le cooperative cattoliche che la DC si era affrettata a promuovere e che s’erano create un loro campo d’attività specie nelle regioni non rosse erano in grado di competere con quelle “collaterali” al PCI.
Alcuni analisti accreditavano persino la voce che la Lega beneficiava dei rapporti commerciali con L’URSS, l’Est europeo, la Cina e Cuba, gestendo l’attribuzione di licenze di export-import verso tali paesi. I maldicenti vennero tacitati con l’accusa di anticomunismo viscerale, e nessuna indagine confermò tali voci.
Ad illuminare meglio la situazione che si era creata, venne alla fine degli anni cinquanta la testimonianza autorevole di Eugenio Reale. Cioè di uno dei capi più prestigiosi del comunismo italiano che aveva reciso i legami con il suo partito a seguito dei fatti di Ungheria.
Reale era stato incaricato da Togliatti di presiedere al campo delle attività economiche, nazionali ed internazionali del partito e delle organizzazioni collaterali. Il fatto che fosse prescelto a tale compito, confermava in qualche modo che una parte rilevante delle attività di questo tipo avesse una dimensione internazionale, visto la lunga esperienza e la fitta rete di rapporti che egli aveva (era stato ambasciatore a Varsavia, aveva partecipato alla costituzione del Cominform, tra l’altro). Nei “Taccuini” che egli redasse (e riportati in un prezioso volume pubblicato da Giuseppe Averardi, attualmente dirigente del PDS, dopo una lunga esperienza politica e parlamentare nel movimento socialista, dal titolo “Le carte del PCI”, edito da Lacaita nel 2000) Reale scriveva: “Negli anni cinquanta e sessanta il divario di sviluppo della cooperazione nel nostro paese rispetto agli altri paesi industrializzati è cresciuto. Nelle socialdemocrazie del Nord Europa il numero dei soci ha raggiunto il 50% della popolazione attiva, in Francia è raddoppiato dal 12 al 24 %. Persino in Canada ed in Usa è al 20 %. Il numero dei soci espressi in percentuale sul numero degli abitanti attivi è fermo in Italia al 7 %”.
Negli anni successivi questa percentuale non saliva di molto: nel 1980, secondo i dati forniti dalla lega delle Cooperative i soci erano 13.180, con una percentuale che non raggiungeva il 10 %, cui naturalmente andava aggiunto il numero dei soci di altre organizzazioni, quella cattolica ed altre ancora, che però era ben più basso di quelli della Lega. Il numero così limitato dei soci si può spiegare con un dato, ripreso dallo stesso Eugenio Reale, secondo cui “ad opera del sindacato e dei funzionari di partito si è sviluppata la tendenza a privilegiare il rapporto di lavoro indipendente nella cooperazione rispetto a quello di associato autonomo”. Di conseguenza è venuta meno la distinzione tra imprese di natura associativa ed imprese di natura capitalistica. Tutto ciò ha permesso di modellare il sistema cooperativo in funzione del soggetto economico e finanziario più che in funzione associativa e partecipativa.
Ed economicamente il sistema ha indubbiamente funzionato; con il sostegno politico, delle amministrazioni ed anche del consociativismo degli anni settanta ed ottanta nel settore della produzione, del consumo, dell’edilizia ed infine della finanza. Ed ha permesso di accumulare risorse tali da costituire un prezioso polmone per il PCI.
Nella sua opera “Le carte del PCI” ha compiuto un lavoro prezioso che ci permette di ricostruire il percorso dei rapporti tra il movimento cooperativo e quel partito, in tutte le sue varie fasi e trasformazioni. Un rapporto che per lungo tempo è stato improntato a quella prassi di “collateralismo” che si traduceva per la cooperazione rossa in una delle tante “cinghie di trasmissione” del partito di riferimento. I momenti salienti furono nel 1961 con il convegno nazionale del PCI sulla cooperazione, conclusosi con il varo di una strategia di aggregazione del ceto medio assegnata come compito alla Lega nell’ambito di una politica di alleanze. Alla metà degli anni Settanta, nel quadro della politica di solidarietà nazionale, e della scoperta dell’economia di mercato, la cooperazione veniva sollecitata ad assumere forme e dimensioni più squisitamente imprenditoriali: una sorta di ala marciante neocomunista nell’ambito e nella logica dell’economia capitalistica. La vittoria elettorale a livello amministrativo e regionale del PCI permetteva l’espansione delle attività delle cooperative edilizie in ogni zona del territorio nazionale, grazie alla gestione degli appalti delle giunte di sinistra.(da Cooperative rosse da utopia a cassaforte)
Ricordo che il 20 luglio 2007, Clementina Forleo nell’ambito delle indagini sulla tentata scalata della BNL da parte dell’Unipol, inviò al Parlamento un’ordinanza in cui, tra l’altro si legge:
” inquietanti interlocutori di numerose di dette conversazioni soprattutto intervenute sull’utenza in uso a Giovanni Consorte”
(N.d.R. Fassino e D’Alema) “appaiono non passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi animati da sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata”
Non voglio entrare nel merito dell’indagine, ricordo soltanto che la Forleo fu immediatamente sospesa dall’incarico, l’inchiesta affidata ad altri (di Fassino e D’Alema non si parlò più) e solo dopo un anno, quando ormai l’insabbiamento era avvenuto, la Forleo fu pienamente riabilitata.
Ma naturalmente sono solo coincidenze.