sabato 30 aprile 2016

Giudizio finale sulla Resistenza -- Tam Angela Maria - Ausiliaria SAF

 

Giudizio finale sulla Resistenza

Nel capitolo 26 avevo accennato ad un giudizio sulla Resistenza italiama, preannunciando un giudizio definitivo che avrei dato più avanti.
Arrivati al capitolo 65, e visti alcuni dei fatti storici accaduti nel periodo, possiamo tranquillamente esprimere il giudizio complessivo su tali avvenimenti.
Innanzitutto risulta evidente un fatto: la Resistenza fu terrorismo. Ed ebbe scarsissimo peso sull’andamento della guerra.
Non vi furono  formazioni di combattenti, ma formazioni di terroristi.
Come già detto nel capitolo 48 fu un movimento, secondo la legge internazionale, illegale.
Gli unici ‘combattenti per la libertà‘ legalmente inquadrati furono i componenti del regio esercito di Badoglio.
In altre parole, e per essere chiari al massimo, il movimento partigiano, pur con altri fini e motivazioni, fu del tutto simile agli attuali movimenti terroristici palestinesi e di Al-Qaida. forse con una differenza: i membri di queste organizzazioni non ci pensano su due volte a sacrificare la loro vita negli attentati, i partigiani, invece, stavano ben attenti a non mettere a rischio la propria, anche se non sempre ci riuscirono.
Questo spiega il perchè di tanta ammirazione che negli ambienti di sinistra riscuotono i terroristi odierni.
Ed in effettti, ad essere sinceri, non si capisce perchè si dovrebbe considerare eroi i partigiani e terroristi quelli di oggi.
Anche la pretesa di combattere contro i tedeschi ‘occupanti‘ è falsa.
I tedeschi infatti non erano venuti in Italia come occupanti, bensì come alleati. Combattevano insieme agli italiani nei vari fronti. Erano venuti in Africa e in Grecia ad aiutarci. E morivano fianco a fianco dei nosti soldati.
Anche dopo la caduta di Mussolini e la nascita del governo Badoglio, erano pur sempre nostri alleati ed anzi Badoglio stesso lo aveva ribadito nel suo discorso radiofonico garantendo altresì che la guerra sarebbe proseguita.
Fu solo dopo la resa incondizionata dell’Italia, contrabbandata come armistizio, dell’8 settembre 1943, resa sottoscritta con gli americani mentre il nostro ambasciatore a Roma continuava a ribadire l’alleanza e l’assoluta fedeltà dell’Italia alla Germania, che quest’ultima fu improvvisamente catalogata come ‘potenza occupante‘.
La colpa maggiore della Resistenza risale comunque all’immediato dopoguerra.
L’influenza che vi avevano i comunisti, per la loro organizzazione capillare, il loro armamento, la loro ferocia ed il legame a doppio filo con Stalin, riuscì ad imporli, fantocci com’erano del più sanguinario e dispotico regime della Storia, come ‘arbitri unici dell’antifascismo‘, ‘paladini della libertà‘ e ‘difensori della democrazia‘.
E invece di arrivare alla logica riappacificazione nazionale (come era avvenuto in Spagna ad opera di Franco dopo la guerra civile spagnola) riuscirono ad imporre una sorta di guerra civile permanente di cui loro erano l’arbitro unico.
E le conseguenze, come vedremo, perdurano ancor oggi.

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Tam Angela Maria - Ausiliaria SAF - fucilata dai partigiani comunisti il 6 maggio 1945, a guerra finita

Viva l'Italia, Gesù la benedica
 e la riconduca all'amore e all'unità per il nostro sacrificio

Tratto dal sito Stelle in Cielo, per gentile concessione:
La tragica vicenda di Angela Maria Tam, giovane insegnante,  che fu violentata prima di essere uccisa, è riportata anche nel libro "Il sangue dei vinti" di Giampaolo Pansa a pag. 74:
"Il 4 maggio, i partigiani si presentarono alla ex Casa del fascio di Sondrio, utilizzata come luogo di concentramento dei prigionieri. Vi prelevarono 8 fascisti, 6 ufficiali e 2 civili, li condussero ad Ardenno, li obbligarono a scavarsi la fossa e li uccisero. Il 6 maggio altri 13 prigionieri a Sondrio furono condotti a Buglio in Monte e giustiziati. Erano quasi tutti ufficiali o esponenti locali del fascismo. Tra questi il federale Parmeggiani, il suo vice Mario Zoppis, altri dirigenti della federazione, il direttore del "Popolo valtellinese", Gustavo Poletti, il comandante della 3^ Legione confinaria della Gnr e una donna, un'insegnante, che pare fosse un'Ausiliaria. Si chiamava Angela Mara Tam ed era terziaria francescana. Prima di essere giustiziata consegnò a un sacerdote una lettera in cui perdonava i suoi assassini."



Campo X, Campo dell'Onore, Cimitero Maggiore, Milano
Le fotografie di questo blog possono essere usate per commemorare i Caduti della Repubblica sociale Italiana.
                                                                                                                                                        
                       

mercoledì 27 aprile 2016

ITALIA "LIBERATA"

Valmasino (Sondrio) e Cologna Veneta: tre giovani della R.S.I. trucidati tra il 5 e il 26 maggio 1945; uno era una ragazza in grigioverde

“A Dio la mia fede,
All’Italia la mia vita,
Al Duce il mio cuore!”
Tutti e quattro di età inferiore ai 18 anni.

Da sinistra: Ivo Orlandi. milite della Guardia Nazionale Repubblicana, fu il primo ad essere trucidato a Valmasino (SO); Pietro Mazzoni, milite della G.N.R. ferroviaria ucciso nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1945 a Valmasino (SO): Nadia Sala, ausiliaria della G.N.R. , sopravvissuta (classe 1928); Luciana Minardi, nata il 26 settembre 1928, ausiliaria della G.N.R., seviziata, violentata e trucidata il 26 maggio 1945 a Cologna Venets (VR).



Al termine del conflitto, l'odio dei partigiani, autoproclamatisi vincitori di una guerra che senza il massiccio intervento americano non avrebbero mai vinto, si accanisce contro le Ausiliarie con una ferocia spesso disumana.

Molte pagano con la vita la loro partecipazione alla R.S.I. (non di rado dopo essere state stuprate), altre vengono rapate e fatte sfilare per le strade tra il ludibrio della feccia urlante, alcune denudate e frustate, altre ripetutamente violentate, in un'esplosione di odio bestiale che non ha e non può avere alcuna giustificazione.

Le meno sfortunate, che solo il caso sottrae al supplizio e alla morte, finiscono nei vari campi di concentramento, come il P.W.E.  334 di Scandicci (FI), tenuto dagli americani, o in quelli tenuti dagli italiani, questi ultimi definiti "di rieducazione morale": espressione davvero paradossale se si pensa che intanto, qua e là per l'Italia, dilaga la prostituzione agli invasori anglo-americani. 

Da quei campi di concentramento le Ausiliarie usciranno solo dopo mesi e mesi di prigionia, le ultime nel gennaio 1946.

Questo fu il prezzo pagato dalle donne in grigioverde, che avevano servito l'Italia con onore e fedeltà, spinte solo da motivazioni ideali a vestire, prime nella storia nazionale, la regolare divisa di un esercito italiano.

Il S.A.F.  (Servizio ausiliario Femminile) è la formazione militare che, in proporzione ai suoi effettivi, ha pagato il più alto tributo di sangue alla causa della R.S.I.
Tratto da Lux 1922-1945 n° 7 Associazione Culturale S.A.F.

Liana Malavenda, Ausiliaria della Brigata Nera Danilo Mercuri, trucidata dai partigiani, a Padova, il 28 aprile 1945 a guerra finita

NON TRADIREMO MAI!

LIANA MALAVENDA, 32 ANNI,  AUSILIARIA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, BRIGATA NERA MOBILE DANILO MERCURI, STUDENTESSA, TRUCIDATA DAI PARTIGIANI A PADOVA IL 28 APRILE 1945, A GUERRA FINITA, SEPOLTA NEL CAMPO X, CAMPO DELL'ONORE, CIMITERO MAGGIORE MILANO.
LIANA ERA NATA A PISTOIA E VIVEVA A PADOVA. L'ULTIMA SUA DIMORA E' FRA I CAMERATI EROI DEL CAMPO X A MILANO. UN FIORE E UNA PREGHIERA PER LA CAMERATA LIANA, VITTIMA DELL'ODIO FRATRICIDA.
NON VI TRADIREMO MAI - Milano, Cimitero Maggiore, Campo X, Campo dell'Onore
Liana Malavenda - Milano, Cimitero Maggiore, Campo X, Campo dell'Onore
Per saperne di più:
Campo X, il Campo dell'Onore - Edizioni Ritter (clicca qui)

                                                           

lunedì 25 aprile 2016

Ancora violenze partigiane -- Brigata Garibaldi


Ancora violenze partigiane

Brigata Garibaldi
 
Questa storia, tratta da “Il Triangolo della Morte” Ed. Mursia, di Giorgio e Paolo Pisanò, ripercorre una delle tante eroiche imprese della Brigata Partigiana per eccellenza: La Brigata Garibaldi ovvero il nucleo partigiano che ha combattuto con tenacia e sprezzo del pericolo per la libertà e la democrazia.
Ines Gozzi, una bella ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO), è una studentessa universitaria, laureanda in lettere. Conoscendo la lingua tedesca è diventata l’nterprete del locale Comando Germanico. Ciò ha significato la salvezza del paese quando i partigiani hanno ucciso due soldati tedeschi nella zona e questi volevano distruggere l’abitato. E’ stata proprio Ines Gozzi a interporsi e a battersi perchè la rappresaglia fosse evitata. Così, da quel giorno, tutti gli abitanti di Castelnuovo Rangone lo sanno e gliene sono grati.
Ma tutti sanno anche che la ragazza è fidanzata con un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana e questa è una colpa imperdonabile agli occhi dei “partigiani assassini -salvatori della patria- ed eroi coraggiosi pluridecorati“!
La notte del 21 gennaio 1945 una squadra di partigiani della brigata “Garibaldi” fa irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre.
I due vengono portati in un casolare in aperta campagna e qui, davanti al genitore legato, la ragazza subisce le più atroci sevizie e le violenze più indicibili da tutti i “coraggiosi” componenti dell'”onorata” Brigata Garibaldi.
I partigiani garibaldini ubriachi la posseggono a turno, la picchiano, gli sputano addosso, le tagliano le unghie fino alla carne, gli spengono dei mozziconi di sigaretta negli occhi, poi le urinano addosso.
Tutto questo orrore davanti al padre legato, costretto ad assistere al martirio di quell’unica figlia nell’impotenza e nella consapevolezza che non ne sarebbero usciti vivi. Dopo essersi accaniti contro la povera Ines, i partigiani infieriscono su quel padre che oramai non si rendeva più conto di cosa stesse accadendo tanto era il dolore che gli avevano provocato quei porci stramaledetti!
All’alba del 22 gennaio 1945, dopo la lunga notte di baldoria, i “coraggiosi partigiani garibaldini”  finiscono padre e figlia con numerosi colpi di pistola alla testa. Verranno ritrovati e riesumati alcuni giorni dopo. I
l corpo della ragazza è tanto straziato, tanto sfigurato da dover essere nascosto agli occhi della madre.
Sui muri di Castelnuovo Rangone qualcuno scrive: “Bestie, avete ucciso la nostra salvatrice“.
Era una notte calda e umida a Bastiglia (MO) quando la sera del 27 aprile 1945 alcuni partigiani (Brigata Garibaldi) si introdussero nell’abitazione di Walter Ascari, lo derubarono, fecero razzia di carni e salumi; lo prelevarono e lo trasportarono in aperta campagna.
Ascari non era fascista, ma neanche comunista, era un benestante e questa era una grandissima colpa durante le “Radiose Giornate” quindi colpendo Walter Ascari avrebbero colpito lo “Stato Borghese“.
Giunti in località Montefiorino alcuni partigiani estrassero dei bastoni e cominciarono a colpire il malcapitato come dei forsennati; altri con l’ausilio di una canna di bambù lo seviziarono fino a rompergli l’ano e parte dell’intestino. Ma era ancora ben poca cosa, una fine orrenda attendeva il povero Walter Ascari. “A morte!” “A morte!” Urlavano gli assassini… Per la sua mattanza finale, i gloriosi e pluridecorati eroi garibaldini pensano a qualcosa di diverso dalla solita raffica di mitra…  Qualcosa di speciale… Qualcosa che soltanto la loro mente perversa e assassina poteva immaginare, qualcosa che va aldilà dell’umana cattiveria.
Lo appesero per i polsi ad un grosso ramo in modo che il corpo del moribondo fosse ben teso assicurandolo per i piedi al terreno con una corda. Poi, con una grossa sega da boscaiolo a quattro mani, lo tagliarono in due! Da vivo! Il suo corpo fu gettato in seguito in una porcilaia. Quando lo ritrovarono, ben poco era rimasto di quel pover’uomo.
Nel Modenese la “giustizia proletaria” fu esercitata con particolare ferocia contro le donne, fasciste o presunte tali. Oltre alle violenze consumate sulle malcapitate già destinate a morte, subito prima della loro soppressione, non furono pochi i casi di sevizie e violenze d’ogni sorta.
Episodi di sequestro e di detenzione di prigioniere prelevate e tenute in vita fino all’inservibilità delle medesime come “oggetti sessuali” per i loro partigiani sequestratori, nella sola provincia di Modena, se ne contano circa duemila.
E’ noto il caso di Prima Stefanini Cattabriga e Paolina Cattabriga, di Cavezzo (MO) madre e figlia, quest’ultima di 15 anni, prelevate il 16 aprile 1945 dalla tristemente nota “banda di Cavezzo” il nucleo partigiano alle dirette dipendenze della Brigata Partigiana Garibaldi, e costrette ad un calvario di 12 giorni prima di ottenere la “grazia della morte“.
Azione di guerra“, naturalmente, così il C.L.N. commentò l’accaduto.
Un altro membro della famiglia Cattabriga, Angiolino, fratello di Paolina, in seguito alle percosse, mutilazioni, bruciature in quasi l’80% del corpo da parte dei sanguinari partigiani, impazzì e morì nell’ospedale di Mirandola.
Un altro caso conosciuto (sono assai di più quelli di cui non se ne sa niente…) è quello di Rosalia Paltrinieri, di Medolla. Ella aveva il “torto” di essere la segretaria del Fascio femminile locale, nel quale si era impegnata prodigandosi e mettendosi a disposizione di tutti i suoi concittadini.
Era convinta di non avere nulla da temere, perciò, nonostante nella zona si vociferava su quanto stessero combinando i partigiani, preferì rimanere al suo posto. Nonostante tutto, aveva fiducia nei propri simili… perchè aveva avuto la “sbadataggine” di considerare i partigiani appartenenti alla specie umana…
Ma pagò per la sua “colpa“: un gruppo di gappisti le invasero la casa, bastonarono a morte il marito così violentemente da fargli schizzare via il cervello dalla scatola cranica; poi la violentarono davanti ai suoi  tre bambini.
Alla fine, come da copione, le svaligiarono l’abitazione e la portarono con loro conducendola in un casolare in aperta campagna, dove nel frattempo era stata trascinata anche una certa Jolanda Pignatti.
Qui, le due sventurate ebbero modo di “espiare” ancora a lungo la “colpa” di essere fasciste (violenze d’ogni genere) finchè furono costrette a scavarsi la fossa.
Ma Rosalia Paltrinieri, la morte se la dovette proprio guadagnare: “non le fu fatta la grazia di un colpo alla nuca“. Venne legata e fatta stendere viva nella fossa che lei stessa aveva scavato; a questo punto i “coraggiosi partigiani patrioti” la ricoprirono accuratamente di terra.
Uno dei coraggiosi partecipanti a questa “eroica azione di guerra“, ebbe modo di vantarsene nei giorni successivi, insistendo compiaciuto e soddisfatto sul particolare che Rosalia Paltrinieri, mentre soffocava sotto le palate di terra che le venivano gettate addosso, invocava ancora i suoi bambini.

NOVARA
Nel campo sportivo sono rinchiusi un centinaio di appartenenti a formazioni militari fasciste operanti nel vercellese. Vengono in seguito condotti all’Ospedale psichiatrico; una notte, i “partigiani” di Moranino, li uccidono nei modi più barbari. Molti furono schiacciati sotto le ruote di pesanti automezzi, e tutti subirono atroci sevizie.
SANTUARIO DELLA GRAGLIA (BIELLA)
Un gruppo di Ufficiali, 23, più cinque donne ausiliarie e due mogli di Ufficiali, che erano stati catturati dopo un aspro combattimento a Cigliano e che si erano arresi poiché era stata loro promessa salva la vita, sono condotti ai piedi del Santuario di Graglia nei pressi di Biella e rinchiusi in uno stanzone dell’albergo Belvedere; a piccoli gruppi furono prelevati e condotti in luoghi diversi nei dintorni del Santuario. Furono trucidati in modo bestiale, compresa la moglie di uno degli ufficiali che attendeva un bambino; terminata la strage, gli assassini si divisero il bottino composto da tutto quello che avevano addosso le vittime.
ODERZO (TREVISO)
Centodiciassette allievi ufficiali del Collegio Brandolini, nonostante le promesse fatte da parte del CLN di mantenere salva la vita ai militi fascisti, sono tutti fucilati sul Ponte della Priula. Uno degli scampati ha raccontato che i suoi camerati furono legati alle mani con fili di ferro, seviziati, raccolti in gruppo presso l’argine del fiume e falciati con il fuoco delle armi automatiche.
SCHIO (VICENZA)
Cinquantacinque fascisti o presunti tali, detenuti nel carcere di Schio sono uccisi in una delle più bestiali esecuzioni di massa. In due stanzoni sono rinchiusi novanta prigionieri, dodici partigiani armati di fucili mitragliatori, sparano all’impazzata sul gruppo di uomini e donne che, in un caos immaginabilmente incredibile, cadono gli uni sugli altri in un impressionante lago di sangue. 55 di questi risultarono uccisi e 31 feriti gravemente.
REVINE LAGO (TREVISO)
Ventuno militari fascisti furono trucidati in quella località in una zona in prossimità delle fornaci.
RECOARO TERME (VICENZA)
Diciotto persone sono trucidate il 21 Maggio, ma molte altre in quei giorni persero la vita in quella località: si può citare la sorte toccata a due militi prelevati dai partigiani, condotti sulle rive del Brenta e bastonati a sangue; nella sabbia del fiume fu scavata una buca e i due furono interrati. Solo le loro teste affioravano dal suolo. E su quelle teste alcuni di quei criminali si esercitarono al tiro a segno tra schizzante ed insulti atroci. Le urla dei due disgraziati non ebbero altro effetto che quello di divertire i loro carnefici. Poi gli spasimi dei due, oramai moribondi, furono soffocati dalle palate di terra con le quali ricoprirono le loro teste. Poi il Brenta si ingrossò, rimosse la sabbia e restituì alla luce i due volti deformati. I cani randagi banchettarono quel giorno con i miseri resti, e brandelli di carne umana furono disseminati lungo la riva. Poi gli “eroi” ritornarono e cosparsero quello che rimaneva dei due cadaveri, con benzina e vi appiccarono fuoco.
MONDOVI’ (ASTI)
Dodici alpini della Divisione Monterosa sono massacrati dopo essere stati tenuti per tre giorni completamente senza alimenti.
ROVETTA (BERGAMO)
Quarantacinque giovani appartenenti alle formazioni della Legione camicie nere “Tagliamento”, sono fucilati in questa località; la loro età oscillava tra i quindici anni del più giovane e ventidue anni il più vecchio.
S. MARTINO D’ALBARO (GENOVA)
Trenta persone imprigionate nelle scuole di quel centro, sono prelevate dai partigiani e portate in località sconosciuta: di loro non si avrà più nessuna notizia.
VADO (SAVONA)
Undici persone sono prelevate dalle carceri, fucilati e sepolti in una fossa comune. Uno dei disgraziati è stato sepolto ancora in vita.
ONEGLIA (IMPERIA)
Trentun fascisti vengono prelevati dal carcere di Oneglia; con le mani legate dietro la schiena da filo spinato vengono bestialmente percossi, poi condotti al cimitero e dopo averne mutilati diversi, tutti vengono trucidati e sepolti a fior di terra, accanto ai cadaveri di alcune donne prima stuprate e poi fucilate.
BAJARDO (IMPERIA)
In questa località è trucidata la famiglia Laura, composta di sette persone. La madre ed un figlio di undici anni furono trovati in aperta campagna sepolti sino al collo con il capo spaccato in due.
BORGHETTO VARA (LA SPEZIA)
Ventitré militi della GNR, oltre ad un ufficiale ed un maresciallo sono prelevati dai partigiani: bastonati a sangue, sono condotti a Costa Cavallara, dove saranno fucilati e fatti precipitare dentro una caverna
BOLOGNA
Davanti alle macerie dell’Ospedale Maggiore sono massacrati decine e decine di fascisti assieme a parecchie donne.
DECIMA DI PERSICETO (BOLOGNA)
Dodici cittadini di Decima, rinchiusi in una stanza del Dopolavoro locale sono torturati per vari giorni, poi una notte caricati su di un camion sono portati in località sconosciuta. I loro corpi non furono mai ritrovati.
Altre 8 persone, tra le quali due sorelle di sedici e diciotto anni furono uccise in questa località.
SALA BOLOGNESE (BOLOGNA)
Trentanove furono i trucidati fascisti in questo piccolissimo centro.
FERRARA
Strage nelle carceri ferraresi; diciassette fascisti sono barbaramente trucidati all’interno di una delle celle.
COMACCHIO (FERRARA)
Undici persone sono prelevate dalle carceri per essere interrogati presso la sede dell’ANPI (Ass. Naz. Partigiani), due sono bestialmente percossi poi tutti vengono condotti a morte.
REGGIO EMILIA
Venticinque fascisti vengono prelevati dalle carceri e su di un camion condotti verso Bagnolo in Piano, per un’uscita di strada del camion, tre riusciranno a fuggire, gli altri verranno tutti trucidati.
NOVELLARA (REGGIO EMILIA)
Il Dott. Barbieri, per pochi mesi segretario del locale fascio repubblicano, dopo essere stato violentemente percosso, veniva rinchiuso in una gabbia di legno ed esposto agli insulti della plebaglia. Dopo alcuni giorni di torture veniva finito a colpi di arma da fuoco.
IMOLA
Diciassette fascisti appartenenti alla Brigata Nera, provenienti da Verona, vengono trucidati in questa località
CODEVIGO
Ventisette fascisti ravennati vengono condotti in questa località e fucilati.
SUSEGANA (TREVISO)
Venti appartenenti alla Guardia Nazionale Repubblicana di questa zona vengono brutalmente trucidati.
VITTORIO VENETO
Nel “bus de la luna”, baratro profondissimo del Monte Cansiglio, centinaia di catturati della Repubblica Sociale Italiana, vengono precipitati dentro dai partigiani; in un sol giorno vengono “infoibati” sessanta alpini del battaglione di Conegliano Veneto.
MIANE (TREVISO)
In località Combai viene esumata una fossa con quaranta salme irriconoscibili; erano stati prelevati dai partigiani a Cernaglia della Battaglia.
SALESINO (PADOVA)
Sei fascisti vengono trucidati; tra loro il segretario comunale di quel paese: venne ucciso dentro una cassa irta di chiodi che gli si conficcarono nella carne straziandolo sino alla morte.
CHIOGGIA
Venti persone vengono prelevate dalle carceri, alcuni appartenevano alle BB.NN.; vennero portati alle foci del Brenta e trucidati.
PORDENONE
Undici fascisti vennero prelevati dalle carceri e poi fucilati.
ISTRIA E VENEZIA GIULIA
Migliaia e migliaia furono gli italiani “infoibati” dai comunisti italiani e titini. Il loro numero non è mai stato stabilito con esattezza.
Mentre i reparti militari si andavano smobilitando e i loro uomini erano catturati, tanti si arrendevano ai partigiani, anziché attendere le truppe anglo-americane, poiché questi giuravano e spergiuravano che avrebbero avuto salvata la vita e non avrebbero torto loro un capello.
Moltissimi reparti, anche numerosi, che avrebbero potuto almeno contrastare le forze delle bande partigiane con possibilità di sopravvivenza sino all’arrivo di truppe regolari, caddero, invece, nei tranelli delle promesse dei partigiani.
Le formazioni comuniste si dedicavano al lavoro che chiamavano di “ripulitura“. Nelle case, nelle strade vi fu una battuta di caccia senza precedenti, condotta con accanimento, determinazione e programmazione.
Basti pensare che nella sola città di Milano. nelle giornate di fine Aprile 1945, si rinvenivano giornalmente nelle strade, in media, oltre duecento morti, generalmente abbandonati senza documenti che ne potessero rendere possibile l’identificazione.
Vi erano in giro, come al tempo dei monatti di manzoniana memoria, appositi automezzi che caricavano i cadaveri e li trasportavano negli obitori, dove vi era in continuazione un lunghissimo pellegrinaggio di parenti che, a rischio della loro vita andavano alla ricerca dei congiunti.
Le donne che non furono uccise, furono costrette a subire oltraggi degni delle orde barbariche di Gengis Kan.
Tutta la ferocia, il livore, l’odio e lo spirito di vendetta esplosero in un modo irresponsabile, alimentato da uomini della sovversione rossa che agivano con disposizioni ben precise.
Un’intera classe dirigente e politica fu eliminata in un gigantesco genocidio.
Fu una cosa selvaggia, che non si può spiegare solamente come l’esplosione della rabbia e della vendetta del periodo della guerra civile, in quanto uccisioni, ritorsioni e rappresaglie furono compiute da entrambi gli schieramenti, ma è appunto spiegabile solamente come vera e propria programmazione delle centrali moscovite in quanto si doveva eliminare il maggior numero tra coloro che, con tutta certezza, si sarebbero opposti con tutte le loro forze alla penetrazione comunista che cercava di prolungare la guerra civile in un’illusoria speranza di conquista del potere assoluto. 



venerdì 22 aprile 2016

Sull’illegalità partigiane e la liceità delle rappresaglie

 

Sull’illegalità partigiane e la liceità delle rappresaglie

I delitti dei partigiani, quando è impossibile negarli, vengono liquidati come eccessi dovuti al momento e reazioni alla barbarie criminale fascista e nazista.
Dove si intende che era giusto e comprensibile che i partigiani reagissero in quel modo alle ‘barbare‘ esecuzioni di combattenti per la libertà e alle rappresaglie naziste.
Ed uno degli esempi più ricorrenti nella liturgia resistenziale è l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Come sempre, anche in questo caso, si tratta di un ribaltamento totale della libertà.
Per dare un giudizio di quanto accaduto in maniera imparziale, l’unico metodo è quello di affidarsi alle leggi internazionali. Nel caso specifico alla Convenzione dell’Aja vigente a quell’epoca e alle successive conclusioni del Tribunale di Norimberga.
Cominciamo per ordine.
L’art. 42 della Convenzione dell’Aja dice testualmente:
La popolazione ha l’obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi“.
Basta questo articolo, da solo, a togliere qualsiasi parvenza di legittimità alla resistenza.
Secondo il diritto internazionale (Art. 1 della convenzione dell’Aia del 1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere compiuto solo dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari i quali rispondano a determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona responsabile per i subordinati, abbiano un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi.
Ciò premesso, si può senz’altro affermare che gli attentati messi in atto dai partigiani fossero atti illegittimi di guerra esendo stati compiuti da appartenenti a un corpo sì di volontari che però non rispondevano ad alcuno degli accennati requisiti.
Consapevole di questo, il governo del Sud, per mezzo di Badoglio, che aveva diramato l’ordine a tutti gli uomini della Resistenza di evitare di fare attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di prevedibili (e ripetio per il nemico legittime) rappresaglie che avrebbero coinvolto anche civili.
Stabilito che l’attentato di via Rasella costituì un atto illegittimo di guerra, occorre accertare, per le diverse conseguenze giuridiche che ne derivano, quale fosse la posizione degli attentatori nei confronti dello stato italiano in quel preciso momento (e del governo del Sud Badoglio, che aveva diramato l’ordine a tutti gli uomini della Resistenza di evitare di fare attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di prevedibili (e ripetiamo per il nemico legittime) rappresaglie che avrebbero coinvolto anche civili).
Solo successivamente lo Stato considerò come propri combattenti i partigiani che avessero combattuto contro i tedeschi.
Con decreto legge n. 96 del 25 aprile 1944 (qualche giorno dopo l’attentato di via Rasella) e col successibo decreto legge n, 194 del 12 aprile 1945 Lo Stato italiano dichiarò ‘non punibili’ (amnistiati) gli atti compiuti dai partigiani.
Il che equivale a dire che li riteneva illegittimi, tanto da sentire la necessità di due appositi devreti per amnistiarli.
Veniamo ora alle Fosse Ardeatine.
Secondo l’Art. 2 della convenzione di Ginevra del 1929 non potevano essere utilizzati per una rappresaglia né feriti né prigionieri di guerra e neppure personale sanitario.
Il Tribunale di Norimberga d’altra parte affermò:
le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui esse si verificano possono essere giustificati: ciò ‘in quanto l’avversario colpevole si è a sua volta comportato in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di impedire all’avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro.’
E per finire la parte legale del ‘discorso‘ ecco le condizioni che ammettevano una rappresaglia, sia per il diritto internazionale, sia per l’interpretazione data dal Tribunale di Norimberga:
  1. Dopo attacchi contro la potenza occupante, laddove la rappresaglia si rendesse necessaria dal punto di vista militare. La rappresaglia serviva innanzi tutto per impedire ulteriori delitti commessi dall’avversario. L’ordine dell’alto comando dell’esercito di data 5 giugno 1941 imponeva “rappresaglie severe” quando esse si rendessero necessarie per la sicurezza della truppa che occupava il territorio.
  2. Quando le ricerche degli autori di atti illeciti avessero dato esito negativo. Anche l’ordine “Barbarossa” (13 maggio 1941) contrario al diritto internazionale consentiva l’arresto collettivo di ostaggi “quando le circostanze non consentano una rapida individuazione degli autori di un fatto criminoso”.
  3. Che esse fossero ordinate da ufficiali superiori.
  4. Che tenessero conto della proporzionalità. Nel citato caso n.9 il tribunale di Norimberga confermò che “misure di ritorsione, qualora consentite, debbono essere proporzionate al fatto illecito commesso”. Questo è un punto di particolare importanza dal momento che si tratta di vite umane. Nel caso n.7, cioè nel processo a carico dei generali List, von Weichs e Rendulic tenutosi nel 1948, la proporzione accettata dal tribunale di Norimberga come equa era 10.1 vale a dire fucilazione di dieci ostaggi per ogni soldato tedesco ucciso da un atto terroristico.
  5. Che la cerchia delle persone colpite dalla rappresaglia fosse in qualche modo in rapporto col reato commesso a danno delle forze occupanti. Che gli ostaggi o le persone destinate alla rappresaglia fossero tratte dalla cerchia della resistenza. Cosa questa che venne applicata anche dai tribunali postbellici francesi.
Non venivano stabiliti i criteri per la scelta degli ostaggi, ma la scelta stessa era affidata a criteri di discrezionalità.
Il Tribunale di Norimberga a tale proposito, afferma:
Il criterio discrezionale nella scelta può essere disapprovato ed essere spiacevole, ma non può essere condannato e considerato contrario alle norme del diritto internazionale. Deve tuttavia esserci una connessione fra la popolazione nel cui ambito vengono scelti gli ostaggi e il reato commesso(quindi luogo dell’attentato o l’appartenenza a gruppi clandestini che compiono atti terroristici).
Il diritto alla rappresaglia venne accolto anche alle forze britanniche nel paragrafo n.454 del “British Manual of Military Law“. Le forze americane a loro volta prevedevano la rappresaglia nel paragrafo n. 358 dei “Rules of Land Warfare del 1940. Per le truppe francesi, l’allegato I alle istruzioni di servizio del 12 agosto 1936 consentiva all’Art.29 il diritto di prendere ostaggi nel caso in cui l’atteggiamento della popolazione fosse ostile agli occupanti, e il successivo Art. 32 prevedeva l’esecuzione sommaria degli stessi ostaggi se si verificavano attentati.
Nel 1947 i magistrati militari britannici, nel processo a carico di Albert Kesselring, commentarono che nulla impediva che una persona innocente potesse essere uccisa a scopo di rappresaglia“.
(F.J.P. Veale, Advance to barbarism (ed.The Mitre Press. Londra 1968) e dello stesso autore, Crimes discretely veiled (ed. IHR, Torrance, California,1979)
Interessante anche ricordare alcune rappresaglie alleate:
  • A Stoccarda il generale francese Lattre de Tassigny minacciò l’uccisione di ostaggi tedeschi nel rapporto di 25:1 se fossero stati uccisi soldati francesi.
  • A Marcktdorf erano previste fucilazioni di ostaggi nel rapporto di 30:1.
  • A Reutlingen i francesi uccisero 4 ostaggi tedeschi affermando che era stato ucciso un motociclista che in realtà era rimasto vittima di un incidente.
  • A Tuttlingen, i francesi annunciarono il 1° maggio 1945 che per ogni soldato ucciso sarebbero stati fucilati 50 ostaggi. (L’originale del manifesto appare nel libro di Spataro che citiamo sotto)
  • Ad Harz le forze americane minacciarono di esecuzione punitive nel rapporto di 200:1.
  • Quando il generale americano Rose, nel marzo del 1945, rimase vittima di una imboscata, gli americani fecero fucilare per rappresaglia 110 cittadini tedeschi. (In realtà Rose era stato ucciso in un normale combattimento, soldati contro soldati – e l’imboscata è pur sempre un atto di guerra se si portano le mostrine e la divisa).
  • A Tambach, presso Coburg, in data 8 aprile 1945 il tenente americano Vincent C. Acunto fece fucilare 24 prigionieri di guerra tedeschi e 4 civili; accusato di omicidio venne assolto.
  • A Berlino l’Armata Rossa che l’occupava minacciò fucilazione di ostaggi nel rapporto di 50:1. Il testo del comunicato era il seguente: Chiunque effettui un attentato contro gli appartenenti alle truppe d’occupazione o commette attentati per motivi di inimicizia politica, provocherà la morte di 50 ex appartenenti al partito nazista“. (Pubblicato sul quoridiano Verordnunsglatt di Berlino in data 1 luglio 1945).
  • A Soldin, Neumark, i russi andarono al di là di questa cifra: furono fucilati 120 cittadini tedeschi perchè un maggiore russo era stato ucciso nottetempo da una guardia tedesca. (che poi risultò essere stato ucciso perchè il russo gli stuprò la moglie (Mario Spataro, Dal caso Priebke al nazi gold, Ed. 7° Sigillo, vol.2, Pag. 913).
  • Una delle più gravi fu la strage di Annecy del 18 agosto 1944, in un campo di prigionieri tedeschi gestito da americani e francesi; proporzioni di 80:1.(ib)
  • A Bengasi, gli inglesi di Montgomery contro gli italiani applicarono quella del 10:1. (Ib.)
Ma torniamo alle Fosse Ardeatine.
Nessun Tribunale italiano fu infatti in grado di imputare a Kappler l’atto di rappresaglia.
La condanna di quest’ultimo infatti si basa solo e soltanto sul numero delle vittime. Nelle Fosse Ardeatine furono infatti ritrovati i corpi di 345 persone e non i 330 che ci si aspettava. Dieci di quelli in soprannumero potevano essere ‘giustificati’ con la morte di un ulteriore soldato tedesco avvenuta prima della della rappresaglia, gli altri cinque no.
Per inciso, se si fossero aspettati alcuni giorni, le persone giustiziate ‘legalmente’ sarebbero state molte di più, visto che nei giorni successivi morirono ulteriori soldati tedeschi.
Per completezza aggiungo che non fu mai trovata la lista di coloro che dovevano essere fucilati e che, di sette corpi, non si riuscì a stabilire l’identità.
La lista dei condannati fu scritta in gran parte dai tedeschi, ma mancando alcuni nomi fu chiesto di completarla al questore di Rona, Caruso. Questi scrisse 55 nomi (sembra anche i cinque in più) scelti tra i reclusi.
Nel 1944 fu fatto il processo contro Caruso. Il primo testimone contro di lui fu Donato Carretta, direttore delle carceri da cui furono prelevati i confannati. Caruso fu condannato a morte il 21 settembre e subito fucilato. Carretta era tranquillo. Aveva un certificato dibenemerenza rilasciato da Nenni ed era in contatto con il CLN. Ma venne il suo turno e fu accusato diessere il responsabile di quelle 56 morti. Incredulo fu portato in Tribunale dove,.durante l’udienza una donna balzò in piedi urlando come un’ossessa: “Ha fatto morire mio figlio, e’ stato lui a mandarlo alle Ardeatine, deve pagare, uccidetelo…”.
La folla travolse i carabinieri , Carretta fu afferrato da cento mani, sollevato da terra, spinto a calci e pugni verso l’ uscita. Venne trascinato fino al bordo del Lungotevere; intanto sopraggiungeva un tram e l’ infelice fu sdraiato sulle rotaie perche’ il veicolo lo straziasse, parendo troppo dolce per lui qualsiasi altra morte. Il tramviere fermo’ il tram, tolse la manovella dal comando e scese. Agli energumeni che gli si scagliarono addosso disse che lui non era un assassino, e alle accuse di essere invece un fascista rispose mostrando la sua tessera del partito comunista: si chiamava Angelo Salvatori e credo che il suo nome dovrebbe essere ricordato. Carretta, ancora in se’ , fu scaraventato nel Tevere dal Ponte Umberto. Cadde in acqua, si afferro’ ai bordi, ma gli schiacciarono le mani con i piedi, sicche’ si abbandono’ alla corrente. Due uomini saltarono su una barca, lo raggiunsero e cominciarono a colpirlo con i remi sulla testa. L’ infelice urlava e aveva ancora la forza di tentare di salvarsi, nuotando e lasciandosi andare sott’ acqua per evitare i colpi. Ma ogni volta che riemergeva il linciaggio riprendeva, finche’ una larga chiazza rossa di sangue intorno al suo corpo fece intendere che era morto. Il fiume trascinava via il cadavere, ma al Ponte Sant’ Angelo riuscirono a tirarlo a riva, la folla non era ancora sazia del suo orrendo pasto. Si udiva gridare “A Regina Coeli, a Regina Coeli”, perche’ si voleva che Carretta avesse l’ estrema punizione d’ essere esposto la’ dove avrebbe commesso i suoi delitti. Arrivati alla prigione, Carretta seminudo, sfigurato, ricoperto di sangue, con la testa maciullata, fu crocifisso al portone. Le urla, la marea di gente raccolta nella strada, i colpi, le esplosioni selvagge d’ un giubilo bestiale fecero affacciare alla finestra due donne. Erano la moglie e la figlia di Carretta e questo completo’ la ferocia d’ una scena che si apparenta nella vergogna e nell’ orrore soltanto alla macelleria messicana di piazzale Loreto.
La donna che in aula aveva determinato la condanna a morte di Carretta non aveva avuto nessun figlio ucciso alle Ardeatine. Anzi, non aveva nessun figlio. Si disse poi che era una pazza, ma qualcuno affermo’ che si era trattato d’ un elemento dello spionaggio sovietico usato per motivi che oggi definiremmo destabilizzanti. E anche perche’ nelle vicende italiane un pizzico di dietrologia e di giallo non guasta mai.
(Kezich Tullio – Corriere della Sera)

                                                                                                                                    

martedì 19 aprile 2016

Israele vuole cancellare la Costituzione italiana?


 


Israele vuole cancellare la Costituzione italiana?

 
Il totale asservimento dei media italiani ai governi guerrafondai di Israele, proprio in questi giorni, ha trovato una nuova conferma: i direttori di alcuni fra i più autorevoli organi di stampa, come Repubblica, Rainews e Corriere della Sera, hanno subito pressioni (presumiamo da ambienti filoisraeliani molto influenti, perché solo questi hanno la forza di fare questo) per licenziare decine di giornalisti colpevoli – citiamo direttamente dal sito di Progetto Dreyfus licenziamenti di massa nelle redazioni http://www.progettodreyfus.com/stop-alla-disinformazione-licenziamenti-di-massa-nelle-redazioni-dei-quotidiani-online/ – “di aver riportato, in forme totalmente stravolte, gli attentati commessi dai terroristi palestinesi in Israele”.

L’articolo di cui sopra pubblicato sul sito di Progetto Dreyfus, megafono della Comunità ebraica romana – quella stessa che lo storico Diego Siragusa ha definito come la “sezione italiana dell’estrema destra israeliana” -, è un vero e proprio attacco alla libertà di stampa, sia pure maldestramente camuffato dietro la richiesta di una più corretta informazione. Continuiamo a leggere l’articolo:‘’La disinformazione, al limite della propaganda, perpetrata da questi ultras dalla penna vicina ai terroristi palestinesi è finalmente terminata. Si è infatti interessato persino il presidente dell’ordine dei giornalisti che ha minacciato di ritirare diversi tesserini, di rispedire alcuni dei titolisti a corsi di formazione di giornalismo con particolare focus sull’etica ed escludere come estrema ratio dall’ordine alcuni degli autori più recidivi’’ (1).
 
Siamo di fronte ad affermazioni molto gravi e lesive dei principi che sono alle fondamenta della nostra Costituzione e in particolare di quell’articolo specifico che garantisce la piena libertà e il pluralismo dell’informazione.
In parole povere, secondo questi signori, chi fornisce un’informazione non gradita al governo israeliano e al Likud dovrebbe essere allontanato o licenziato dai giornali per cui lavora e addirittura cacciato dall’ordine dei giornalisti. Si tratta di una minaccia ben precisa, un modo subdolo per rovinare la vita (non solo professionale) di decine se non centinaia di persone che cercano di fare al meglio il proprio lavoro. Tutto lascia dunque supporre che le redazioni di alcuni giornali verranno sfoltite a causa di licenziamenti politici, perché di questo si tratterebbe. Domanda: La “sinistra” italiana si mobiliterà in difesa di questi lavoratori forse prossimi al licenziamento (per ragioni politiche, è bene sottolinearlo) e per difendere il sacrosanto diritto alla libertà di stampa e di opinione così palesemente sotto attacco da parte dei gruppi di potere sionisti? Oppure tutto ciò passerà in sordina, dal momento che, da SEL fino al PCL, sembrano decisamente più impegnati ad occuparsi di “diritti civili, femminismo, liberalizzazione dei costumi e istanze lgbt” piuttosto che di conflitto sociale, lavoro e antimperialismo? Verranno licenziati, espulsi dall’Ordine dei Giornalisti o peggio ancora mediaticamente “linciati” dei giornalisti critici di Israele? Questioni secondarie. La “sinistra capitalista” ha ben altre urgenze e priorità….

Ma qual è l’agghiacciante tesi di Progetto Dreyfus, un sito che, fra le altre cose, trasuda islamofobia da tutti i pori (è sufficiente dargli un’occhiata per rendersene conto), sul conflitto in corso? Leggiamo: “L’unica cosa che contava per questi pseudo giornalisti era riportare il numero dei morti, alto da parte palestinese perché tanti, oltre 150, sono stati gli attentatori. Allo stesso tempo era basso, circa 25 in totale, il numero di persone barbaramente uccise con coltelli e macchine che hanno investito donne e bambini da parte israeliana”.
 
E chi sarebbero questi pericolosi attentatori, questi ‘’terroristi’’? Forse Afula di Asraa Abed, una donna indifesa, accerchiata dai militari israeliani, fino a che non le hanno sparato diverse pallottole. Per il giornalista di Haaretz, Gideon Levy, questo è “palesemente un assassinio. Quei poliziotti erano troppo codardi o assetati di vendetta e perciò meritano di essere processati, non encomiati” (2). Per un giornalista israeliano, certamente di Sinistra e democratico, quei soldati erano solo dei codardi che “meritano di essere processati”, mentre per i sionisti, quegli assassini sono degli ‘’eroi’’.

La Palestina è chiaramente sotto occupazione, definire ‘’terrorista’’ chi difende il proprio diritto alla libertà, all’indipendenza e a una dignitosa esistenza libera dalla dominazione neocoloniale, dovrebbe suscitare profonda indignazione. Un’ indignazione di massa che purtroppo tarda ad arrivare. E’ possibile restare in silenzio di fronte alle minacce e al terrorismo mediatico di Israele? E chi sarebbero poi i ‘’terroristi’’? Scrive ancora Levy: ‘’Ancor più macabra è l’esecuzione di Fadi Alon a Gerusalemme. Dopo che ha gettato a terra il coltello con cui aveva ferito un giovane ebreo, ha cercato di scappare dalla folla inferocita verso un poliziotto, che la gente incitava con parole volgari ad ucciderlo. Rispondendo alla richiesta della marmaglia, il poliziotto ha sparato a morte al ragazzo, senza motivo, e poi ha fatto rotolare il suo corpo in strada’’. Altri video dimostrano che una gran parte delle azioni dell’IDF (l’esercito israeliano) sono semplici atti di crudeltà, che hanno origine nel razzismo e nel particolarismo etnico e religioso ormai da tempo egemone in Israele.
Vogliamo parlare di Gaza ? Ashraf al-Qadra, membro del ministero della Salute palestinese, documenta che: ”L’occupazione persiste nell’utilizzo di armi non convenzionali contro i cittadini di Gaza, essa ne ha fatto uso in passato e continua tuttora” (3). E continua: “Le tipologie delle ferite, curate negli ospedali della Striscia di Gaza in seguito agli attacchi israeliani, provano che l’occupazione ha usato armi incendiarie e non convenzionali, vietate a livello internazionale. Ciò si evince dai corpi delle vittime, che arrivano negli ospedali di Gaza con ustioni di grandi dimensioni e amputazioni in molte parti del corpo, oltre alle lacerazioni dei tessuti interni delle vittime. Tutto ciò dimostra che vi è un uso eccessivo della violenza contro i civili di Gaza, e che l’occupazione colpisce deliberatamente le aree popolate per aumentare il numero delle vittime tra i civili”. Il risultato è questo: oltre 43.000 persone, oggi a Gaza, vivono in condizioni di disabilità (4). E’ inutile girarci attorno: solo una persona in malafede può mettere sullo stesso piano un sasso lanciato da un ragazzo palestinese (o anche una coltellata sferrata con rabbia e disperazione), con i bombardamenti al fosforo e le bombe dirompenti dei cacciabombardieri israeliani.

Quello israeliano è un chiaro progetto di pulizia etnica, una sorta di lento e silenzioso genocidio portato avanti anche grazie all’impunità di cui gode Israele che, oltre a rappresentare una costante minaccia per i popoli arabi e/o mussulmani, sta mettendo in campo una strategia per attentare, come abbiamo appena visto, alle più elementari libertà democratiche – fra cui la libertà di stampa ed di informazione – in Europa.

Solo poche settimane fa la presentazione a Roma del libro di Alan Hart, “Sionismo, il vero nemico degli Ebrei“, è stata boicottata, come spiega nel suo blog lo storico Diego Siragusa l’Anpi siamo anche noi , traduttore e autore della prefazione, al punto tale che anche l’ANPI provinciale di Roma ha deciso di annullare l’evento. E’ lecito pensare a pressioni”, spiega Siragusa nel suo articolo, e non possiamo che condividere la sua ipotesi.
Insomma, siamo di fronte ad una vera e propria violazione del diritto che si traduce nel tentativo (ma è molto di più di un semplice tentativo) di mettere il bavaglio alla libera informazione, di zittire con le minacce i giornalisti non allineati al pensiero unico e ovviamente di orientare e condizionare la politica estera del paese (come se non fosse già del tutto prona agli interessi degli USA e di Israele). Tutto ciò dimostra peraltro, qualora ce ne fosse bisogno, quale sia il tasso di autonomia politica di questo paese.
E ancora: a chi giova l’iranofobia fomentata dai media filoisraeliani? La domanda è complessa e per questo, escludendo di rivolgerla (perché sarebbe del tutto inutile) ad un qualsiasi “funzionario mediatico” di regime, la giriamo alla giornalista Tiziana Ciavardini, colta ed esperta conoscitrice della Repubblica Islamica dell’Iran:
Dall’Islamofobia crescente in Occidente intensificatasi dopo i recenti attacchi terroristici in Francia e nei paesi mediorientali il senso di paura patologica nei confronti dell’IRAN fortunatamente sta in parte sta cambiando. La mia esperienza ultra decennale nella Repubblica Islamica dell’Iran mi ha portato ad avere una visione della cultura e della società contemporanea prettamente in contrasto con quelle che sono le notizie spesso capziose e confuse che i mass media ormai da anni stanno cercando di divulgare. Mi rivolgo in particolare a quella ‘paura dell’IRAN’ quella ‘IRANOFOBIA’ che vedeva nell’IRAN il male assoluto. Negli ultimi decenni l’Iran é stato piú volte presentato come un paese insicuro e da evitare caratterizzato da problemi politici interni che le cronache hanno inevitabilmente evidenziato creando un latente pregiudizio ancora oggi difficile da superare. Con l’elezione del Presidente Hassan Rohani l’Iran sta vivendo peró, un cauto cambiamento. Nello scenario mediorientale oggi questo Paese rappresenta l’unico Stato con una elevata stabilità politica ed istituzionale e rappresenta l’unica superpotenza regionale con una propria specifica identità. Purtroppo in Occidente siamo ancora ancorati al nostro etnocentrismo, convinti che la nostra civiltà occidentale si sia sparsa e imposta in tutto il mondo grazie alla superiorità morale del sistema democratico-parlamentare su altri sistemi politici. In realtá il sistema politico iraniano é troppo complesso e difficilmente comprensibile da un punto di vista occidentale e lo sbaglio maggiore é quello di voler attribuire regole e decisioni ad una sola persona quando non é esattamente cosí. L’Iran sta aprendo le proprie porte a nuove sorprendenti dinamiche un motivo in piú per intensificare il dialogo
La lobby sionista: vietato parlarne?
 
Ma c’è anche un’altra domanda a cui siamo chiamati a rispondere: esiste la lobby israeliana (sionista), cioè un centro (o vari centri) di potere impegnato(i) a difendere lo Stato di Israele e la sua politica di sostanziale e anche formale apartheid nei confronti del popolo palestinese? La risposta è semplice: sì, esiste. Cerchiamo di inquadrare il problema ripercorrendo le opinioni di importanti studiosi appartenenti alla Sinistra antimperialista italiana. Anche perché, molto spesso la sinistra confonde il “sionismo” con l’“ebraismo”,eppure i rabbini Neturei Karta sono contrari allo Stato ebraico. . La destra, oggigiorno, è filosionista: condivide con questo sia l’imperialismo economico e politico che la sua funzione “messianica”.
Secondo lo storico marxista Mauro Manno “Non solo esiste ma è forte e, fatto grave, non ha oppositori o persone che ne denuncino la pericolosità’ (5). Il Partito Radicale (Pannella e Bonino in testa … ) così come il quotidiano La Repubblica (solo per citarne alcuni perchè l’elenco sarebbe infinitamente più lungo) sono apertamente schierati dalla parte di Israele.
 
Per il filosofo “post-marxista”, Costanzo Preve, nessuna persona intellettualmente onesta potrebbe negare l’esistenza della lobby filoisraeliana, “però anche solo fare un riferimento a questa realtà incontrovertibile, è immediatamente assimilato all’antisemitismo, identificato nel simbolismo comune mediatico manipolato con l’approvazione, esplicita o implicita, ai crimini sterministici di Hitler. Il tradimento degli intellettuali consiste nel non denunciare questo fatto…” (6).
 
Quindi, come mettere al riparo l’informazione e la libertà di stampa da questa progressiva involuzione antidemocratica? In regime capitalistico chi possiede i mezzi di produzione controlla e possiede anche i mezzi di informazione: egemonia di classe e costruzione del consenso camminano di pari passo. Israele è un paese imperialista (al vertice della catena di comando insieme a Usa e Gran Bretagna ), mentre l’Italia è un paese sub-imperialistico a sovranità limitata. I rapporti di forza fra questi stati rendono proni i governanti e i giornalisti italiani alle classi dirigenti americane e israeliane.
Lo storico Diego Siragusa ci ha spiegato molto bene come “Decisiva è, quindi, la tecnica dell’inganno. Il motto del MOSSAD, il famigerato servizio segreto israeliano, è questo “PER MEZZO DELL’INGANNO FAREMO LA GUERRA”. In modo esplicito gli israeliani confessano il loro metodo fondamentale col quale hanno costruito il loro stato e la loro potenza: la disinformazione sistematica come la quintessenza del loro progetto sionista. Possedere il controllo dell’informazione planetaria è la condizione necessaria per il successo dell’inganno” (7). Fino a quando tale inganno avrà successo? Da più di sessant’anni a questa parte a fare le spese degli appetiti di questa potenza imperialista cinica, arrogante e aggressiva sono i popoli dell’area mediorientale e in particolare quello palestinese.
La battaglia per ristabilire una verità storica e oggettiva su Israele, sui suoi crimini e sulla natura imperialista del sionismo, deve diventare quindi una priorità per chiunque sia animato da uno spirito democratico e da onestà intellettuale.


Fonte : L’interferenza

Note

                                                                                                                                                                     
                          

domenica 17 aprile 2016

LA STORIA CHE NON SI INSEGNA A SCUOLA


la storia che non si insegna a scuola
Non cessa di stupire quanto sia manipolata – questa sì! - la memoria storica resistenziale. Che dozzine di martiri partigiani fossero stati inventati di sana pianta è storia nota risaputa e però dai più ignorata, ma che l’abitudine di aumentare il numero delle “vittime” continui ai giorni nostri questo è fatto che lascia per lo meno attoniti. E poi questi campioni di verità assolute e metafisiche hanno il coraggio di sputare sentenze e veleno sui cosiddetti “revisionisti” (1), quando in realtà i “revisionisti” e questa volta nel distorto significato dispregiativo del termine, sono proprio loro. I fatti. Recentemente a Cigliano in provincia di Vercelli si sono svolte solenni celebrazioni commemorative resistenziali: cadeva l’anniversario della morte di alcuni partigiani locali (2). Al di là di ciò comunque, a loro questa volta se ne aggiungeva un altro sia pur in un veloce passaggio orale che lo indicava come ennesima vittima dei nazifascisti: testimoni oculari ed auricolari hanno assorbito il pistolotto. Il “martire” in questione deceduto per ironia della sorte il 25 aprile 1945 si chiamava Rinaldo Andorno; era un partigiano piuttosto estroverso e amante delle azioni plateali e si schiantò in moto in assoluta autonomia contro un muro di quel paese in quanto i freni del suo mezzo si guastarono e in quanto lui non era quel provetto motociclista che pensava d’essere. E chi scrive lo sa bene soprattutto perché, altra ironia della sorte, legato da un vincolo di parentela piuttosto stretta. Andorno in vita era considerato uno scavezzacollo simpatico a bambini ed adulti con il gusto dello scenico e del plateale: a riprova di ciò una fotografia voluta dallo stesso partigiano mentre in tuta mimetica impugna due rivoltelle con fare agguerrito e fa bella mostra di sé con una bomba a mano infilata sotto la cintura. Difficile pensare che la vita per uno così fosse dura dal momento che sotto il “rigido clima mussoliniano” poteva permettersi di andare tranquillamente dal fotografo del paese e farsi riprendere in plastico atteggiamento partigiano da sciupa femmine, con tappezzeria a fiori sullo sfondo: difficile pensarlo. Eppure anche di questo simpatico ragazzetto di provincia la retorica resistenziale è riuscita ad appropriarsi sia pur, almeno per il momento, in un fugace passaggio orale che lo “nobilita” in quanto vittima dei soliti "criminali aguzzini". In realtà fu proprio lo stesso carattere di Andorno il maggior responsabile della sua morte, perché sembra proprio che la moto non fosse del tutto affidabile ma evidentemente era tale la voglia di partecipare al bailamme di quei gironi che freni o non freni - e forse sopravvalutando le proprie capacità - il ragazzo andò incontro al suo destino; voci, peraltro non documentabili, affermarono che il giovane non andasse nemmeno troppo veloce. E questa è la sua storia, nient’altro: nessun “martire” quindi. Peraltro tra “martiri” partigiani riesumati cinquant’anni dopo che indossavano la divisa della R.S.I., altri che risultavano quattro e che invece erano tre (3), altri ancora che chi li ha personalmente conosciuti in vita li ha definiti in ogni modo possibile meno che martiri, altri definiti sulle lapidi come sconosciuti per coprire verità incredibili, e infine altri ancora che furono spietati e feroci assassini poi inspiegabilmente santificati, la nostra “storia” è piena. Rinaldo Andorno fu null’altro che un simpatico ragazzetto di paese forse un po’ esaltato dall’idea partigiana e niente più: ma non diciamolo troppo in giro, che magari tra qualche tempo arriverà anche a lui a posteriori qualche targa alla memoria o roba simile. Allora parleremo e questo documento servirà per poter dire che noi l’avevamo detto in tempi non sospetti: chissà che a quel punto non si considererà finalmente l’idea di studiare le mille lapidi agiografiche partigiane per (ri)vedere le biografie di molti di questi eroi santificati: siamo certi, più che certi, che a quel punto ne vedremo delle belle. C’è però un però; stiamo facendo ancora una volta del “becero revisionismo”: occhio quindi, perché le religioni non si discutono e i roghi per gli eretici ardono ancora e più di prima, anche se in modo più sottile.
 
                                                  Lodovico Ellena   
  
(1)    A proposito di revisionismo; lo stesso criterio di ricerca storica è un dato di fatto assodato in recenti ed autorevoli studi tanto sulla storia romana quanto sul Risorgimento: che ne pensano in merito questi intonsi accusatori? Perché non si pronunciano? 
(2)    sui quali comunque ci riserviamo di indagare in quanto sono recentemente emersi particolari decisamente “stonati” ed interessanti. 
(3) Roberto Gremmo, Storia ribelle, Biella 2003, I quattro martiri della Resistenza fiorentina del 1 maggio 1944 erano tre e uno di loro non venne ucciso dai fascisti. Tutto si potrà dire di Gremmo, meno che si tratti di autore filofascista.